ROMA – Valentina Col è morta a 17 anni per una embolia polmonare massiva. Un trombo partito dalla gamba sinistra della ragazza ha raggiunto l’arteria polmonare, dove una broncopolmonite con versamento pleurico ha peggiorato il danno. Il dolore per la perdita di una ragazza così giovane è ancora più forte per i genitori. Valentina non è arrivata in ospedale d’urgenza, era ricoverata da 5 giorni e nessuno nell’ospedale di Orbetello si è reso conto della gravità della sua condizione medica.
“Un caso singolare”, dice il procuratore di Grosseto, Francesco Verusio, che ha aperto un’inchiesta che vede 11 indagati tra medici dell’ospedale, il medico di base di Camerota che le prescrisse la lastra pensando ad un’influenza e un radiologo della clinica Corbelli di Vallo della Lucania, dove Valentina fece una lastra dopo la caduta in spiaggia e la contusione al torace. Verusio spiega ad Alessia Maran de Il Messaggero:
“«Di sicuro – afferma il procuratore capo Francesco Verusio – siamo di fronte a un caso insolito. Che coinvolge una bambina, perché una bambina era, apparentemente sana. L’autopsia ha sì confermato che c’è stata una botta, una contusione al petto, ma non c’è stato pneumotorace come ci aspettavamo. Ovvero nessuna costola che ha perforato il polmone. Quindi si è scatenata una successione dovuta al versamento del liquido, l’infezione, l’embolia. Solo con gli ulteriori esami – continua Verusio – e il confronto con la diagnosi e le terapie cristallizzate nella cartella clinica, potremo capire dove c’è stato un corto circuito. Ma poi, ripeto è un caso singolare: anche se i medici si fossero accorti di questo procedimento in atto, avrebbero potuto impedirlo?»”.
Il caso di Valentina potrebbe trattarsi dunque di una polmonite, sottovalutata e trascurata, aggravata dal fatto che la giovane prendeva la pillola anticoncezionale, che in soggetti con predisposizione genetica può dare origine a trombi ed embolie, come quella che ha ucciso la ragazza.
La famiglia Col però non può darsi pace. La figlia era in ospedale da 5 giorni e nessuno ha compreso cosa accadeva, spiega l’avvocato Patrizio Alecce, presente all’autopsia della ragazza:
“«Nel 2013 non si può morire così a diciassette anni, in un ospedale. Non sei a casa e ti accorgi all’improvviso di stare male, corri in pronto soccorso tardi e muori. Valentina era ricoverata da cinque giorni, ci sarebbe stato tutto il tempo per salvarla, possibile che nessuno si sia accorto della tragedia che le stava per piombare addosso?»”.
Ai genitori della ragazza nessuno aveva mai parlato di polmonite, spiega ancora l’avvocato:
“«Di una broncopolmonite i genitori di Valentina prima di oggi non avevano mai sentito parlare – continua Alecce -, il trauma contusivo riscontrato pare non abbia avuto un’incidenza casuale sulla morte della ragazza. Ancora non siamo entrati in possesso della cartella clinica ma restano tante le domande per cui aspettiamo una risposta»”.
I dubbi sulla diagnosi restano ed anche sui tempi degli esami. La ragazza di 17 anni è arrivata in ospedale con un versamento pleurico e una trombosi in atto, con febbre che continuava ad alzarsi e la tac con contrasto eseguita solo poco prima che morisse:
” «Ebbene – spiega ancora Alecce – quell’esame se si fosse fatto prima avrebbe potuto già evidenziare la problematica del sangue che si stava coagulando. Invece le è stata fatta quando l’embolo era praticamente già partito finendo per occludere l’arteria». Insomma, «a seconda degli errori fatti, i medici – conclude il legale – avrebbero potuto capire che la trombosi era in atto, forse favorita anche dall’assunzione della pillola anticoncezionale. L’analisi dei trombi disposta dal consulente della Procura ci aiuterà a capirlo»”.
Dopo l’autopsia, ora la famiglia di Valentina aspetta i risultati degli esami genetici e sul Dna per comprendere perché una ragazza così giovane e sportiva possa aver avuto dei trombi:
” «Saranno fondamentali per accertare una predisposizione della ragazza a una trombosi – conclude il legale -, per stabilire l’incidenza della patologia polmonare sul quadro clinico e capire se l’embolia poteva essere diagnosticabile. Ripeto: rimane il fatto che una ragazza così giovane sia stata lasciata morire mentre era stata affidata alle cure di un ospedale. Non era nel letto di casa sua. Qualcuno avrebbe dovuto fare qualcosa per impedirne la morte»”.