
CATANIA – “Cedetti alle lusinghe di mio suocero verso la metร di agosto. Un giorno mia cognata Jessica, avendo preparato una pietanza che piaceva a Loris, venne a casa mia e prelevรฒ entrambi i bambini per farli pranzare a casa sua. All’ora di pranzo mio suocero, venuto a casa mia per mangiare, non trovรฒ i bambini. Eravamo da soli. A un certo punto si avvicinรฒ a me, mi abbracciรฒ e da lรฌ ne scaturรฌ un rapporto sessuale”. Sono queste, riportate nell’ultimo numero di Giallo, le parole pronunciate da Veronica Panarello durante l’ultimo interrogatorio in carcere, dove รจ rinchiusa con la terribile accusa di aver ucciso il figlio Loris.
Ad uccidere Loris perรฒ, secondo Veronica Panarello, sarebbe stato il suocero, Andrea Stival, con cui lei, racconta la donna, aveva “una torbida relazione”. “Ho una relazione extraconiugale con mio suocero – racconta Veronica – sin da quando mia cognata Jessica Stival, a seguito di una lite con il padre, รจ andata via di casa e lui รจ rimasto da solo. Mio suocero cominciรฒ a frequentare casa mia con assiduitร verso maggio 2014, soprattutto nelle ore di pranzo e cena. Presto mio suocero iniziรฒ” ad avere un atteggiamento di attenzione verso di me; mi faceva dei complimenti relativi al mio fisico, anche nelle occasioni in cui ci recavamo al mare, seppur in compagnia di mio marito e della compagna dell’epoca, ma non in loro presenza; mi rendeva partecipe della sue faccende, chiedeva che dovevo essere io a recarmi in casa sua per effettuare le pulizie (…)”.
Durante l’interrogatorio poi Veronica ha ripercorso con freddezza i drammatici momenti dell’omicidio del piccolo Loris: “Andrea e Loris erano in cameretta. Il bambino ripeteva che avrebbe chiamato papร e glielo avrebbe detto. Loris era agitato e mio suocero mi disse di prendere qualcosa per tenerlo fermo. Andai nello sgabuzzino, prelevai la prima cosa che vidi: le fascette. Ne prelevai una o due e le porta in cameretta e mentre mio suocero teneva Loris per le spalle unendogli i polsi, io li bloccai con una fascetta, Loris scalciava ma senza gridare (…)”.
























