Via Poma, il figlio di Pietro Vanacore: “Mio padre condannato senza appello”

Pietro Vanacore

Pietrino Vanacore, per il figlio Mario, ora anche lui portiere di uno stabile nel quartiere della Crocetta a Torino, «era un uomo a pezzi».

Da quel 7 agosto del ’90, quando Simonetta Cesaroni fu trovata morta «sono passati vent’anni, eppure tutte le volte che si è parlato della mia famiglia è stato solo per massacrarci. Hanno reso la vita di mio padre un inferno», racconta.

«Aveva tanti progetti, voleva comperare una casa – ricorda ancora il figlio dell’uomo trovato privo di vita nelle acque antistanti Torre Ovo – ma ha dovuto utilizzare tutti i risparmi che aveva per pagarsi gli avvocati».

Sulla morte del “portiere di via Poma” anche la famiglia Cesaroni, ovvero la mamma e la sorella, per bocca del loro avvocato Lucio Molinaro esprimono “dolore e dispiacere”. Ma proprio in questo momento ci tengono a precisare di «non aver mai fatto pressioni su Vanacore, neanche quando è stato arrestato».

Rimane però anche il loro profondo rammarico: «Se é vero che Vanacore ha dichiarato insofferenza e dolore significa che – sostiene l’avvocato – è stato lui a chiudersi in sé stesso. Se voleva poteva liberarsi da questo tormento invece ha preferito non rispondere».

E per fugare ogni dubbio sottolinea: «L’esito di questo atto drammatico non può essere collegabile a noi e lo stesso vale anche per i Pm che hanno investigato». Mario Vanacore, è invece convinto che nei confronti del padre si è consumata una vera e propria persecuzione. «Lo hanno massacrato ingiustamente – sostiene – perché lui era innocente». Anche il figlio del portiere negli anni scorsi è finito nell’inchiesta per la morte della bella impiegata di via Poma.

Il giorno prima dell’omicidio era andato a trovare il padre nella capitale, insieme alla moglie Donatella e alla figlia di pochi mesi, prima di partire per le vacanze estive. Nel novembre del 1990, alcuni mesi dopo l’omicidio, Mario Vanacore aveva ricevuto un avviso di garanzia insieme alla madre, Giuseppa De Luca perché i magistrati vollero comparare il loro sangue con quello di una traccia ematica trovata sulla porta dell’ufficio di via Poma. Anche per Paolo Loria, difensore di Raniero Busco, l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni ed unico imputato nel processo per l’omicidio della ragazza, Vanacore era tormentato dalla vicenza.

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