Nuova udienza del processo per la morte di Simonetta Cesaroni, e le protagoniste diventano le fotografie scattate dagli investigatori durante i primi rilievi fatti nell’ufficio dell’Associazione degli Ostelli della gioventù, dove, il 7 agosto 1990 fu trovata la ragazza morta per 29 colpi di un tagliacarte.
Foto, alcune delle quali cruente, che l’ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, per quella morte sotto processo con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, ha avuto il coraggio di guardare solo di sfuggita. Una stanza apparentemente in ordine quella dove fu trovata Simonetta, senza alcuna traccia di colluttazione. Al centro, in posizione supina, il corpo senza vita della ragazza. Una scena terribile quella vissuta dal poliziotto della scientifica, Ciro Solimene, il primo ad entrare quella notte in quell’appartamento.
“Il corpo era freddo, rigido – ha ricordato – Gli occhi e la bocca chiusi, la testa girata verso destra”. E poi lei, Simonetta Cesaroni “con ecchimosi alla cavità orbitale e ferita da taglio al torace, alla regione mammaria e a quella pubica. Sul pavimento sangue copioso all’altezza del pube e di una spalla della ragazza”. Tra fine agosto e fine settembre 1990, nel prosieguo delle indagini, furono compiuti nuovi sopralluoghi negli uffici dell’associazione: furono trovate altre macchie rossastre sulla pulsantiera e sulla cabina dell’ascensore, su un muro delle scale, su alcuni poster e su un termosifone nella stanza in cui fu trovato il cadavere.
Oggi, inoltre, si è tornato a parlare del comportamento della portiera dello stabile di via Poma, moglie di Pietrino Vanacore, prima arrestato e poi scarcerato per l’omicidio. La scorsa udienza i familiari di Simonetta avevano detto che la donna aveva indugiato prima di consegnare le chiavi dell’appartamento alla polizia. Oggi, gli uomini delle Volanti che per primi vi entrarono, lo hanno confermato.
“La portiera impiegò un po’ di tempo prima di darmi le chiavi dell’ufficio. Gliele strappai di mano”, ha detto il sovrintendente di polizia Marco Santangelo, e la circostanza è stata confermata dal suo collega Luigi Piccinini. Poi, il ‘mistero’ del secondo interrogatorio al quale fu all’epoca sottoposto Busco e nel quale non gli chiesero nulla del suo alibi: “Lo sentiì in questura il 10 settembre 1990 – ha detto l’investigatore Fabrizio Brezzi – I colleghi mi dissero che il suo era un alibi acclarato, già accertato. Per questo a Busco non glielo chiesi. In ufficio si diceva che non era il responsabile del delitto”. Prossima udienza, il 12 marzo; saranno sentiti in aula due investigatori, la portiera dello stabile di via Poma e il marito, nonché il datore di lavoro di Simonetta Cesaroni con il figlio.