Pietrino Vanacore fu il primo ad entrare nell’appartamento di via Poma dopo l’omicidio di Simonetta Cesaroni. È quanto ha sostenuto il pubblico ministero Ilaria Calò nel corso della quarta udienza per il delitto che vede come imputato l’ex fidanzato della Cesaroni, Raniero Busco.
Nel corso dell’udienza, giunta due giorni dopo il suicidio di Vanacore, che avrebbe dovuto testimoniare, il magistrato spiega che proprio «gli atteggiamenti anomali di Pietro Vanacore e di sua moglie hanno contribuito a depistare le indagini per 20 anni».
La Calò ha mostrato il mazzo di chiavi, con il nastrino giallo, che furono poi sequestrate nella portineria alla moglie di Vanacore, Giuseppa De Luca aggiungendo: «Le chiavi sono uno snodo fondamentale in questa inchiesta – ha detto il pm – Vanacore entrò per primo negli uffici dell’associazione Ostelli della Gioventù al terzo piano, trovando la porta socchiusa. Individuò il corpo senza vita della Cesaroni nella stanza del direttore, Corrado Carboni». Il pm poi prosegue affermando che Vanacore «pensando ad un incontro clandestino» della Cesaroni, effettua tre telefonate al presidente degli Ostelli della Gioventù, Francesco Caracciolo, al direttore Corrado Carboni e al capo di Simonetta, Salvatore Volponi.
Vanacore, poi, secondo la ricostruzione del pm, «non allerta la polizia, prende le chiavi con il nastro giallo, che erano quelle di riserva per accedere agli uffici ed appese ad un chiodo dietro la porta, e va via chiudendo l’ingresso». Vanacore, però, dimenticò nell’appartamento una agendina rossa , che venne poi, circa un mese dopo, restituita dalla polizia alla famiglia della Cesaroni pensando che fosse un oggetto personale di Simonetta. La famiglia della ragazza non riconobbe l’agenda tra gli oggetti di prorietà della ragazza e la restituì alla polizia.
Venerdì 12 marzo in tribunale ha parlato anche Luca Volponi, figlio del capo di Simonetta Cesaroni, Salvatore, che ha ricostruito il momento in cui trovarono il cadavere della ragazza, straziata da 29 coltellate, la sera del 7 agosto 1990: «Ricordo ancora quell’urlo di Paola, la sorella di Simonetta, quando vide il corpo senza vita».
«Di quella sera ricordo che rientrai a casa intorno alle nove – ha raccontato Volponi – Mio padre mi chiese di accompagnarlo a cercare Simonetta (che non dava sue notizie da alcune ore). In compagnia della sorella Paola e del suo fidanzato Antonello Barone, raggiungemmo lo stabile in via Poma. Aprimmo la porta degli uffici, io andai verso sinistra, mio padre a destra. Era buio, ad un tratto sentiì mio padre gridare e mettersi le mani nei capelli. Poi rivolto a me disse “tieni Paola” ma non feci in tempo».