Una visita storica, l’hanno definita i media israeliani. Benedetto XVI è giunto nel pomeriggio di domenica alla Sinagoga di Roma per l’attesa visita ufficiale, che nei giorni scorsi aveva dato vita a un vivace dibattito e qualche polemica legata, soprattutto, al processo di beatificazione di Pio XII, il Papa del Gran silenzio sulla deportazione degli ebrei romani.
Ad accompagnare il Santo Padre, monsignor Tarcisio Bertone e Riccardo Pacifici per la comunità ebraica. Il Papa ha percorso la via Catalana che conduce al Tempio, dove si ricordano i mille ebrei romani deportati ad Auschwitz nell’ottobre del ’43. Era ottobre anche nel 1982 quando in un attentato alla sinagoga morì un bambino di 2 anni e 37 persone rimasero ferite.
Applaudito dalla folla, il Pontefice è giunto alle 16.40 davanti alla porta della Sinagoga dove ad attenderlo c’erano le più alte autorità della comunità ebraica, tra cui il rabbino capo Riccardo Di Segni, e rappresentanti della Repubblica e del Comune di Roma. In prima fila, il sindaco Gianni Alemanno, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il presidente della Camera Gianfranco Fini.
Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, ha rivolto un pensiero alle migliaia di persone che soffrono e «un appello per portare la solidarietà concreta alle vittime». E’ seguito un minuto di silenzio in ricordo dei morti nel terremoto sull’isola caraibica.
Poi Pacifici ha ringraziato il Papa per essere venuto a rendere omaggio agli Ebrei deportati nei lager nazisti. Quindi ha ricordato che la propria esistenza si deve all’aiuto che le suore di un convento di Firenze diedero alla sua famiglia nel 1943. Ma ha anche espresso rammarico per il silenzio di papa Pio XII durante le deportazioni. «Il silenzio di Pio XII davanti alla Shoah, fa ancora male perché avrebbe dovuto fare qualcosa – ha detto al Papa Pacifici – Forse non sarebbe riuscito a fermare i treni della morte, ma avrebbe lanciato un segnale, una parola di estremo conforto, di umana solidarietà, nei confronti di quei nostri fratelli trasportati verso i forni crematori di Auschwitz».
Ringraziando il rabbino capo Di Segni per l’invito, il presidente delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e Riccardo Pacifici, il Papa ha rivolto un saluto e un ringraziamento alla «comunità ebraica romana per il momento di incontro e amicizia». Poi ha ricordato «il mio beneamato predecessore Giovanni Paolo II» e il suo deciso contributo al consolidamento per superare ogni incomprensione e pregiudizi. «La mia visita – ha detto papa Ratzinger – si inserisce nel cammino tracciato per rafforzarlo. Per manifestarvi la stima e l’affetto che il vescovo e la Chiesa di Roma nutrono verso questa comunità e le comunità ebraiche sparse nel mondo».
Presenti in Sinagoga numerosi anziani testimoni della Shoah, romani che nel 1943-44 furono deportati nei campi di sterminio nazisti e furono tra i pochissimi che riuscirono a sopravvivere all’inferno dei lager, il rabbino capo Riccardo Di Segni ha voluto rivolgere «un saluto grato al Papa e Vescovo di Roma per aver scelto di visitare il luogo più sacro e più importante della comunità ebraica italiana».
Il Papa ha a sua volta risposto: «Impossibile dimenticare lo sterminio degli ebrei». «Come non ricordare, come dimenticare i loro volti le loro lacrime, la disperazione di donne e bambini – ha sottolineato il Santo Padre -. Lo sterminio del popolo dell’Alleanza di Mosé, prima annunciato poi realizzato dai nazisti…»
«Purtroppo molti rimasero indifferenti – ha ricordato Ratzinger -. Ma molti anche tra i cattolici italiani, sostenuti dalla fede, aprirono le braccia per soccorrere gli ebrei braccati, a rischio stesso della loro vita». Quanto alla Chiesa, senza nominare Pio XII, il pontefice ha ribadito: «Anche la sede apostolica svolse un’azione di soccorso spesso nascosta». E ha aggiunto: «La memoria spinge a rafforzare i legami, perchè crescano sempre di più la comprensione e la fiducia. La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo».
«L’immagine di rispetto e di amicizia che emana da questo incontro deve essere un esempio per tutti coloro che ci osservano – ha detto il rabbino Di Segni – Ma amicizia e fratellanza non devono essere esclusivi e oppositori nei confronti di altri. In particolare di tutti coloro che si riconoscono nell’eredità spirituale di Abramo». Ed ha aggiunto un appello: «Ebrei, Cristiani e Musulmani sono chiamati senza esclusioni a questa responsabilità di pace».
Dal 1870, ha sottolineato il rabbino capo in Sinagoga, «possiamo rapportarci con la Chiesa e il suo Papa in termini di pari dignità». Ed ha ammonito: «Se quel che ha portato il Concilio Vaticano II venisse messo in discussione, non ci sarebbe più opportunità di dialogo». Quindi ha ricordato «la storica e indimenticabile visita di Papa Wojtyla in questa sinagoga, cui seguì il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte della Chiesa».