Scooterista ucciso a Milano, Vittorio Petronella accusato di omicidio: “Non riesco a darmi pace”

MILANO – Il Corriere della Sera riporta le parole di Vittorio Petronella, il pensionato di 71 anni che lunedì 25 luglio, a Milano, ha inseguito e ucciso Alessandro Mosele, motociclista di 35 anni e padre di una bimbetta di tre, dopo una lite al semaforo. Petronella racconta una versione diversa, dice di non essersi accorto di avergli fatto un torto, che quel giovanotto lo ha affiancato e insultato: “Complimenti, hai vinto la palma dello s… dell’anno”, che ha dato un calcio alla sua Audi rompendo lo specchietto retrovisore, che a quel punto lui ha tirato giù il finestrino e che il motociclista gli ha sputato in faccia. “L’ho inseguito per avere un chiarimento, volevo il suo numero di targa perché mi sentivo offeso e umiliato per quel che aveva fatto. È caduto e io me lo sono trovato davanti, non ho potuto evitarlo. Non sono un mostro, è stata una fatalità”.

Quattro testimoni raccontano dell’inseguimento e dicono che è stato lui a investirlo facendolo cadere. Una donna dice di averlo visto passare sul corpo di Alessandro due volte. “Ma non è vero” giura lui ricostruendo la scena assieme ai suoi avvocati, Pier Paolo Pieragostini e Gian Luigi Tizzoni. “I miei ricordi sono molto confusi ma escludo di averlo investito due volte. La cosa che ho ben in mente è l’istinto di spostarmi da lì”.

Ha ingranato la marcia e ha parcheggiato venti metri più in là. “Tremavo come una foglia, mi tremavano le gambe, ho avuto la strana sensazione di sentirmi spettatore e non protagonista di quella scena. Era come se stessi guardando un altro uomo, da lontano”. Ha chiamato sua moglie Nuccia: “È successo un guaio”. “Dove sei?”, “Non lo so”. È rimasto fermo a lungo, quasi senza respirare. Era successo davvero o era un incubo? “Appena le gambe mi hanno retto sono tornato sul punto dell’incidente a piedi. Non trovavo e non trovo ancora adesso le parole per dire quello che ho provato e che provo. Non so perché ho perduto la testa e l’ho inseguito, è stato un attimo…”.

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Alessandro Avico