ROMA – I “vuoti d’aria” non esistono. Qualsiasi pilota a cui lo chiederete vi dirà che non è il vuoto a far perdere quota agli aerei, e nel peggior caso a farli cadere, ma sono le perturbazioni “invisibili”.
Francesco D’Arrigo, comandante di Airbus con 15mila ore di volo all’attivo, ha spiegato a Repubblica:
“I vuoti d’aria non esistono l’aria è fatta a onde come il mare. Viene chiamata ‘vuoto’ la parte discendente dell’onda”
L’aereo che incontra un “vuoto” in realtà perde quota perché incontra una forte corrente discensionale che lo spinge verso il basso ad alta velocità, come farebbe una corrente marina che trasporta verso il fondale durante una burrasca. Se durante la discesa l’aereo poi incontra una corrente ascensionale si ritrova tra due correnti che lo spingono in direzioni opposte e lo fanno oscillare verso l’alto ed il basso in rapida successione.
L’aereo sollecitato da queste correnti non è in grado di compensare con sufficiente velocità le spinte contrastanti che riceve, creando così quella sensazione che si prova sulle montagne russe di un Luna Park, quando si rimane sospesi quasi come nel “vuoto”. Niente vuoto dunque, ma quella sensazione di caduta che dura pochi istanti ma può scatenare panico e malori o piccoli incidenti se le cinture sono slacciate, proprio come accaduto sul volo proveniente da Cuba e atterrato a Malpensa il 19 novembre.
Il fenomeno del “vuoto d’aria“, un gergo che poco descrive dunque la realtà fisica che si manifesta, è quindi caratterizzato da perturbazioni “invisibili”, perché la strumentazione degli aerei non è in grado di vederli e contrastarli con la giusta rapidità. Il fenomeno si verifica in particolare a circa 6mila metri di altitudine e nella fascia tra i 12mila ed i 15mila metri, proprio quella in cui volano la maggior parte degli aerei.
Fabrizio Gessini, pilota da 25 anni, spiega a Repubblica il pericolo di queste perturbazioni invisibili ai radar:
“Finire in un temporale è quasi impossibile, i radar vedono l’acqua, hai il tempo di volare altrove. Il problema sono le scie dei grandi aerei e le perturbazioni in aria chiara, non sempre rilevate dagli strumenti”.
Nel caso di queste perturbazioni, precisa poi Daniele Carrabba, direttore del coordinamento aeroporti Enac, in genere è attivo il pilota automatico e la questione si esaurisce in pochi istanti. Nei casi più gravi, spiega D’Arrigo a Repubblica, il pilota deve però prendere il comando dell’aereo:
“Riduci la velocità, aumenti l’areazione dei motori, ordini alle hostess di interrompere i servizi a bordo – spiega D’Arrigo – e qui viene il problema: farsi ascoltare dai passeggeri, evitare che perdano la calma”.
Insomma i vuoti d’aria non esistono, ma le perturbazioni invisibili sì e possono diventare pericolose in particolari casi. Farsi prendere dal panico, la prima reazione che l’istinto detta quando sei sospeso in uno spazio ristretto a 15mila metri dal suolo, è il peggior nemico di chi viaggia su un aereo.
