Yara, a un anno dal ritrovamento. Muore Valsecchi: più di tutti la cercò

Il capo della protezione civile di Brembate Sopra, Giovanni Valsecchi

BERGAMO – A un anno esatto dal ritrovamento del cadavere di Yara Gambirasio, si è spento il capo dei volontari della Protezione civile di Brembate Sopra, Giovanni Valsecchi. L’uomo ha esalato l’ultimo respiro ieri, 26 febbraio, esattamente un anno dopo il ritrovamento della ragazzina sparita misteriosamente e cercata invano. Valsecchi, 68 anni, è morto agli Ospedali Riuniti di Bergamo dove era ricoverato da alcune settimane per una grave malattia. Quando fu avvisato che nel campo di Chignolo d’Isola era stato trovato il corpo di Yara non aveva trattenuto le lacrime.

A pochi giorni dalla data del 26 febbraio le indagini rimangono aggrappate alla ricerca a tappeto di dna tra i cittadini. Ma di piste investigative nemmeno l’ombra. E’ questo il quadro che emerge dagli inquirenti, che non hanno mai smesso di indagare, ma che non hanno mai nemmeno fornito anche solo un’ipotesi concreta sull’accaduto.

Di certo si sa solo che Yara è scomparsa il 26 novembre 2010, poco prima delle 19, uscendo dal centro sportivo che frequentava, che non e’ stata violentata, che non ‘ stata uccisa con un colpo mortale ma da una concausa di fattori (in sostanza e’ morta di stenti dopo essere stata colpita al capo e ferita alla schiena con un taglierino) e che in quel campo di Chignolo d’Isola non distante dal paese dove viveva e dove e’ stata trovata, in avanzato stato di decomposizione, il 26 febbraio 2011, probabilmente ci e’ finita la sera stessa della sua scomparsa.

Ecco, l’elenco delle cose certe, pero’, finisce press’a poco qui. Ancora oggi, infatti, nonostante quelle che allora vennero definite ”le migliori intelligenze” in campo, non c’e’ un movente, non c’e’ un’esatta causa di morte, non c’e’ una dinamica completa dell’accaduto. Non si sa nemmeno se Yara sia stata prelevata a caso, sul marciapiede, o da uno che attendeva proprio lei. Quello che e’ sicuro, e’ che la gente del posto, i suoi concittadini, attendono giustizia per una tragedia che ha profondamente segnato la piccola – e chiusa – comunità.

È ancora alta, infatti, a Brembate Sopra, la richiesta della popolazione affinché venga dato un nome al responsabile. Come conferma il sindaco del paese, Diego Locatelli: ”La gente non ha dimenticato che c’e’ un responsabile ancora da prendere, che c’è giustizia ancora da fare. Ma sia chiaro: non c’è richiesta di vendetta, ma nemmeno rassegnazione nonostante il tempo trascorso”. Nella cittadina dell’Isola bergamasca, pero’, la sensazione che traspare parlando con la gente, se non e’ rassegnazione, ci assomiglia molto. ”Mah, ormai”, è la frase più ripetuta.

Ed e’ di questi giorni la notizia che la magistratura, dopo un primo diniego, ha concesso l’accesso agli atti alla famiglia. ”Molti mi chiedono se significhi qualcosa, se sia stato un ‘prendere in mano la situazione’ – ha aggiunto il primo cittadino -. Io non credo, anzi, c’e’ da meravigliarsi che non sia stato chiesto prima, da parte della famiglia”. ”In realta’ l’autorita’ giudiziaria non ha aperto tutti i fascicoli – dice il legale della famiglia Gambirasio, l’avvocato Enrico Pelillo – per ora ci limitiamo a valutare gli esiti degli esami scientifici”.

Quello che rimane a disposizione, quindi, per continuare a sperare, sono i continui prelevamenti genetici, che avrebbero raggiunto ormai numeri (e costi) record. Ben 13 mila tracce, che sono state raccolte e campionate ma che non sono state comparate se non per la minima parte. E lo stesso varrebbe per la sterminata sequenza di tabulati telefonici raccolti, che sarebbe lungi dall’essere stata compiutamente analizzata.

Strade che sono ineluttabilmente legate al caso, e che potrebbero portare svolte domattina come tra anni. Con l’aggravante, in quest’indagine, di non essere in possesso di alcuno scenario investigativo in cui contestualizzare eventuali scoperte ‘genetiche’. Ed e’ ormai noto che anche la piu’ preziosa risultanza scientifica, per portare a responsabilità concrete in tribunale, devono essere supportate da solidi castelli indiziari.

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Daniela Lauria