I giudici della Corte d’Assise di Bergamo si sono riservati di decidere sulla richiesta della difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio, di poter esaminare i reperti che hanno portato alla sentenza di condanna. Gli avvocati di Bossetti hanno parlato di “confronto acceso” in aula e hanno detto che la Procura ha definito “degli scartini” i reperti diversi dalla traccia 31G 20, con il Dna trovato sui leggings della ragazza ritenuta la ‘prova regina’ nel dibattimento.
La traccia 31 G20 “è forse l’unica traccia che è effettivamente esaurita, stando alle dichiarazioni dei consulenti di allora” ha spiegato la difesa di Bossetti che chiede comunque di poter esaminare tutti gli altri reperti che la Procura avrebbe definito “di secondaria o nulla importanza”.
Articolo aggiornato ore 18:43.
Massimo Bossetti punta alla revisione del processo
Massimo Bossetti, condannato in via definitiva per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio chiede alla Corte d’assise di Bergamo che “sia prima di tutto ripristinata la legalità”. Lo ha detto uno dei suoi legali, Paolo Camporini, al suo arrivo in tribunale a Bergamo dove si è discussa la richiesta della difesa di aver accesso ai reperti del caso in quanto, da tempo, sostengono possa essere rifatto l’esame del Dna, la cosiddetta “prova regina” nel processo. “Chiede sia ripristinata non solo la legittimità ma anche la legalità “, ha detto Camporini.
Yara Gambirasio, la storia dell’omicidio
Yara Gambirasio era scomparsa da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo il 26 novembre del 2010 e fu trovata morta in un campo a Chignolo d’Isola, ad alcuni chilometri di distanza, tre mesi dopo. Fu solo nel giugno del 2014 che venne individuato Massimo Bossetti, muratore di Mapello, paese del circondario, come possibile autore del delitto.
Bossetti fu condannato all’ergastolo e la sentenza fu confermata dalla Cassazione. Da tempo i suoi avvocati stanno lavorando in vista di una richiesta di revisione della sentenza e, in questo senso, chiedono di aver accesso ai reparti e hanno anche messo in dubbio che i campioni di Dna siano stati conservati correttamente