Afghanistan, la sorella un alpino: “Caro Berlusconi, non si aspetta il lutto per chiedersi se tutto questo ha senso”

I funerali di Stato di Massimo Ranzani

ROMA – “Caro presidente del Consiglio, le voglio parlare di mio fratello. È partito per l’Afghanistan, ad ottobre, nella brigata Julia di Vipiteno. Fa parte di quella lunga schiera di uomini e di donne che partono perché vogliono proteggere la propria Patria, la propria Bandiera, sposano un Ideale e per quello lottano e combattono”. Inizia con questo ricordo familiare la lettera, indirizzata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e pubblicata dal Corriere della Sera, scritta da di Giulia Franchi , sorella di un militare che fa parte del convoglio che ha subito l’attentato a Shindand il 28 febbraio scorso dove ha perso la vita il capitano Massimo Ranzani.

Giulia, 26 anni, una laurea in Economia e un “lavoro che mi piace e che mi permette di pagarmi un piccolo mutuo”, ha un fratello che è uscito illeso dall’attentato del 28 febbraio: “è orgoglioso di quello che sta facendo e con lui tanti suoi compagni. Hanno un Progetto: proteggere la Patria. E sono motivati da uno scopo: quello di eseguire il proprio dovere”.

“Non mi sono mai interessata più di tanto alla politica perché, erroneamente, mi sono sempre fatta troppo spesso scoraggiare dalla scarsità di idee e di ideali. In questo momento non è importante da quale parte si collochi il mio credo politico, e non mi interessa nemmeno parlare delle ultime vicende che l’hanno coinvolta. Io non sono nessuno per giudicare l’operato del governo e ancora meno stabilire quello che è giusto da ciò che è sbagliato, a livello di Etica. Le voglio parlare di mio fratello”.

Dario Franchi, 24 anni, fratello di Giulia, è partito per l’Afghanistan a ottobre, nella brigata Julia da Vipiteno. Sarebbe potuto restare a lavorare a Torino nello studio del padre, racconta Giulia, “dove avrebbe guadagnato il doppio di quello che guadagna ora. Avrebbe avuto la doccia calda tutti i giorni, la sua fidanzata vicino, il nostro cane Potter che lo accoglieva scodinzolando, il letto con le lenzuola fresche e le polpette che tanto adora di mia mamma”.

Invece no: Dario “si è messo a studiare, perché ora per entrare nell’esercito devi studiare, lui che dormiva fino alle undici la domenica mattina si svegliava alle sei e andava a correre con uno zaino e tre chili dentro”.

“Dario era in uno dei quattro lince dell’attentato del 28 febbraio a Shindand dove ha perso la vita Massimo Ranzani. Ha visto il suo commilitone amico e compagno morire e altri tre rimanere feriti. Ha dovuto seguire un protocollo subito dopo l’esplosione, perché esistono dei protocolli anche per quando la gente muore. Ha chiamato mia mamma e le ha subito detto che lui stava bene. Ho sentito Dario che ringraziava Dio e la mia nonna per averlo protetto perché dieci metri prima è saltato un lince per cui solo il caso o il destino ha impedito che non ci fosse lui ma un altro. Mio fratello è orgoglioso di quello che sta facendo, e con lui tanti suoi compagni. E sa che cosa motiva questi soldati? Il credere nel proprio Ideale. Non si tratta di soldi, non è la divisa, non è nient’altro che un sentimento nobile e pulito. E l’unica cosa che possiamo fare noi da qui, noi in Patria, è portare rispetto per il loro lavoro, gratificarlo, onorarlo e celebrarlo come merita. L’unica cosa che si deve dire in queste occasioni, e non solo, è ringraziare per il sacrificio fatto, perché l’unica cosa che motiva questi soldati è essere lì per uno scopo, l’eseguire il proprio dovere”.

“Perché il presidente del Consiglio o persevera questo scopo o li fa rientrare, tutti, dal primo all’ultimo. Non si aspetta la morte di un altro alpino per chiedersi se ha senso, non si aspetta il lutto e il dolore per porsi delle domande. Questo è il pensiero di una sorella italiana. Nessun giudizio e nessuna causa perorata. Passi la carenza di idee e di progettualità, passi la scarsità di prospettive per il futuro e la perplessità sul presente, passi il fatto che una direzione precisa questo Paese non ce l’abbia, e passi anche che noi che dovremmo sentirci cittadini d’Italia ma soprattutto d’Europa, in realtà ci agitiamo per feste e chiusure di scarsa rilevanza. Tra poco verranno celebrati i 150 anni dell’Unità d’Italia, ce lo ricordano più le polemiche su tale ricorrenza che la ricorrenza stessa. Onoriamo l’Unità d’Italia ma soprattutto l’Italia stessa come è giusto che sia, iniziamo onorando i cittadini d’Italia, i figli, i padri e i fratelli che per questa Italia lottano e in questa Italia credono”.

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Published by
Maria Elena Perrero