Centodieci combattenti talebani hanno deposto le armi negli ultimi due mesi e mezzo nella provincia di Herat, affidata al controllo dei militari italiani: è un numero da non sottovalutare, se si considera che, secondo le stime di intelligence, in questo territorio gli ‘insorti’ non sono più di un migliaio.
“Sì, è un risultato importante. Ma siamo ancora all’inizio”, dice il colonnello Emmanuele Aresu, comandante del Team di ricostruzione provinciale (Prt) italiano di Herat. La ‘reintegrazione’ dei guerriglieri talebani – vale a dire la loro riconciliazione con la società afghana, in primis le loro comunità di origine, e con le istituzioni del Paese – è prevista da un programma lanciato su scala nazionale 5 anni fa, che però ha vissuto varie vicissitudini e non è mai realmente decollato. Adesso sono allo studio alcune modifiche, che però i militari italiani hanno in parte già attuato.
I 110 ex talebani che di recente hanno deposto le armi nella provincia di Herat, ha spiegato Aresu, provengono quasi tutti (90) dalla zona di Siawshan e pochi da altri distretti. Ci sono poi altri 30 ‘candidati’ della famigerata Zeerko valley: nei loro confronti è in corso l’attività volta a verificare la genuinità, per così dire, dei loro propositi di reintegrazione. Nella sua versione originaria, il programma prevedeva la consegna di una somma di denaro (l’equivalente di 100 dollari) al momento della consegna delle armi ed altri 600 in una fase successiva, quando si poteva dire che la reintegrazione era effettivamente avvenuta. In realtà, finiti i soldi, capitava che l’ex insorto tornasse tra le filE dei talebani. Per questo motivo oggi la strada è quella di dare in cambio non moneta contante, ma un lavoro. Del resto, spiega il colonnello Aresu, é quello che cercano. “Questa gente è stanca”, dice il comandante del Prt.
“Stanca della vita che fa, stanca di combattere. La loro vera motivazione nella stragrande maggioranza dei casi non è ideologica: lo fanno perché non hanno un lavoro ed è su questo che bisogna fare leva”. Si tratta, dunque, di inserire gli ex combattenti talebani ‘reintegrati’ nei grandi appalti di ricostruzione che la comunità internazionale sta finanziando in Afghanistan. Lo stesso Aresu ha già avanzato la proposta di collocare nelle ditte che lavorano per il Prt italiano queste persone: “Solo così – spiega – possiamo fornire una alternativa valida alle attività illecite e criminali”.
Il comandante del Prt ha parlato di tutto ciò anche nel corso di una grande ‘Shura’ che si è tenuta pochi giorni fa a Kushhk Rabat-e-Sangi, a nord di Herat, alla presenza di 150 mullah e capivillaggio. L’ufficiale italiano ha dato la massima disponibilità dei militari italiani nel sostenere le autorità locali nella reintegrazione nelle loro comunità degli ex talebani. Un gesto che sembra sia stato molto apprezzato, ma come sempre a parlare saranno i fatti.