È il giorno della verità per Cesare Battisti. Si è aperta l’udienza della Corte Suprema del Brasile, che dovrà decidere se dare o no l’ok per l’estradizione dell’ex membro dei Pac (Proletari armati per il comunismo), condannato in contumacia per quattro omicidi.
Il nuovo giudice del Supremo Tribunale, nominato due mesi fa, non voterà: lo ha confermato in una nota spiegando che la sua scelta è dovuta a «ragioni di coscienza». L’esito della votazione finale dunque dovrebbe pendere per il sì, dato che si sarebbe pronunciato contro.
Restano molte le incognite soprattutto se l’esito della seduta fosse un pareggio di voti: in quel caso entrerebbe in gioco il presidente della Corte, Gilmar Mendes.
Qualora il Tribunale Supremo decidesse per l’estradizione, spetterebbe al presidente Luiz Ignacio Lula dare il via libera definitivo. Se quest’ultimo dovesse respingere la decisione dell’Stf, potrebbe aprirsi anche una crisi istituzionale con il potere giudiziario. Il Brasile, dove non esiste la pena dell’ergastolo, potrebbe inoltre – come si ventilava nei mesi scorsi – chiedere, nel caso di un via libera all’estradizione, che la pena di Battisti sia commutata nei trent’anni di carcere (pena massima prevista dalla Costituzione brasiliana).
Una volta concessa l’eventuale estradizione, il Brasile dovrà scegliere se processare l’ex terrorista rosso per l’uso di documenti falsi, tra i quali il passaporto, durante il suo periodo di latitanza nel paese.
Nel caso di un sì all’estradizione, molte incognite si aprono anche sui tempi che potrebbero trascorrere prima che Battisti possa effettivamente essere trasferito in un carcere italiano. Anche alla luce della possibilità di un suo eventuale ricorso davanti ai tribunali internazionali di difesa dei diritti umani, tra i quali la Corte interamericana.
