Birmania, la rete fa sempre più paura: la giunta censura Skype

ROMA – Dopo le rivoluzioni in Egitto, in Tunisia, poi in Libia, da ultimo in Siria e Yemen, per non parlare degli abbozzi di proteste nella Repubblica Popolare Cinese, la giunta militare al potere in Birmania corre ai ripari contro il “pericolo” di un contagio democratico via internet.

Come scrive Raimondo Bultrini su Repubblica, oltre a Twitter e Youtoube, da sempre banditi nel paese, ma anche Skype e gli altri servizi VoIP (la tecnologia audio via Internet) saranno bloccati per impedire ogni forma di comunicazione “facile” sia interno allo stato che con il mondo esterno.

Internet era già un fenomeno di nicchia nel paese: nel 2010 si sono contati, ufficialmente, soltanto 110.000 utenti (500mila secondo altre fonti), lo 0.2 per cento dei 55 milioni di birmani, contro il 30 per cento della vicina e alleata Cina.

Tutti i siti critici nei confronti del regime sono oscurati, comprese le pagine di molti quotidiani stranieri, anche se molti utenti riescono ad accedervi ugualmente usando server proxi, sebbene a velocità molto limitata.

In particolare il blocco di Skype è destinato a colpire i familiare dei due milioni e mezzo di emigrati birmani: il servizio, insieme a Google talk, Pfingo, VZO, è utilizzatissimo per le comunicazioni internazionali, soprattutto perché i telefoni pubblici nel paese sono pochi e molto costosi: una chiamata all’estero può costare tra i 7 e i 10 dollari al minuto.  Anche i cellulari costano tantissimo, fino a 1700 dollari.

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Maria Elena Perrero