LA PAZ – “Fateci lavorare a 10 anni”. Per tre anni i bambini boliviani hanno scioperato, marciato, protestato, fatto volantinaggio, prima di convincere il presidente Evo Morales, che pure ha trascorso la sua infanzia a pascolare lama sulle Ande, del loro diritto al lavoro. Alla fine sono stati ascoltati e il governo abbasserà l’età per l’impiego legale: il limite restano i 14 anni, come chiede l’Onu, ma si scende a 12 o a 10 se manifestano la volontà di farlo e c’è il consenso dei genitori.
In Bolivia, è una realtà, un minore su tre lavora: sono piccoli lustrascarpe, baby minatori, aiuto braccianti nelle aziende agricole familiari, piccoli strilloni che brulicano per le strade di Santa Cruz o comunque nelle piccole zone di quell’economia suburbana che gli permette di guadagnare un gruzzoletto per aiutare i propri genitori.
Per questo esiste anche un sindacato per i piccoli lavoratori, Unatsbo, che in questi anni si è battuto per instillare nella politica boliviana l’idea che il contrasto non debba essere fatto al lavoro minorile bensì allo sfruttamento minorile, ossia battersi per la protezione di diritti e salari e non negare loro tout court la possibilità di sostentamento.
Il parlamento boliviano approverà la riforma per autorizzare il lavoro dei quasi-adolescenti in settimana. Sarà permesso di lavorare a tutti i bambini di 12 anni che manifestino la volontà di farlo, che abbiano il consenso dei genitori e l’ok delle istituzioni di protezione all’infanzia. Inoltre, se invece che lavorare come dipendenti, in fabbrica come nelle piantagioni, si metteranno in proprio, potranno addirittura iniziare a 10 anni.
Henry Apaza, 17 anni e delegato dell’Unatsbo, spiega le opportunità della riforma che cancella l’infanzia:
“Abbiamo previsto alcuni limiti. La consideriamo una necessità e parte della nostra istruzione. Poi, sono garantiti gli stessi diritti degli adulti, e, su otto ore, due devono essere per forza spese a scuola”.