Bunker antiatomici in Italia. Ci sono ma nessuno è operativo. Sono disseminati da Nord a Sud ma non c’è un solo rifugio in grado di resistere ad un’onda d’urto, termica e radiologica, di un ordigno nucleare.
Il più grande, ad Affi (Verona), è stato chiuso nel 2004. Dobbiamo preoccuparci visti i chiari di luna? Esagerato? Forse no.
I PRIMI BUNKER, ANNI ‘60
Al tempo della guerra fredda, cioè della lunga contrapposizione – politica, ideologica, militare – tra Stati Uniti e Unione Sovietica (di qua la Nato con gli USA, di là il Patto di Varsavia con Mosca) circolava l’incubo nucleare. Più o meno come oggi.
Di qui la necessità di correre ai ripari. La guerra fredda (1947-1991) negli ‘60 assunse valori eccezionali di turbamento angoscioso collettivo tanto che la Nato, per raffreddare gli animi e le paure dei militari in Europa, pensò bene di realizzare per loro dei bunker antiatomici.
Il primo colpo di piccone è del 1960, un anno prima dell’invasione della Baia dei Porci orchestrata dalla CIA. Di qua John Kennedy, McNamara con l’agente segreto “Rip” Robertson, di là Fidel Castro con Che Guevara e kruschov. Sappiamo come è finita: vittoria cubana e navi sovietiche in ritirata. Scongiurata una guerra nucleare. Ma restò alta la tensione nel blocco Occidentale. E appunto si pensò ai bunker.
LA MAPPA DEI BUNKER DELLA GUERRA FREDDA
C’erano in Italia tanti bunker antiatomici. Grandi, piccoli. In grado di ospitare anche mille persone. Nel Veneto e nel Casertano i maggiori. A nord di Roma c’era il bunker di Monte Soratte: tre piani per 300 rifugiati (militari e politici); dismesso nel 2008.
A Napoli e Torino sono stati ricavati rifugi (antiaerei) d’un certo spessore. Idem in Alto Adige dove è stato costruita la Gampen Gallery al Passo delle Palade (1.508 metri s.l.m.). È lunga 1.500 metri, è un capolavoro ingegneristico. Oggi è un museo.
NEL MIRINO SOPRATTUTTO LE BASI NATO
Sono i target possibili. Parola degli esperti. E fanno l’elenco dei siti eventualmente a rischio: le basi americane tipo Aviano, Sigonella, Napoli e le basi italiane tipo Ghedi (Brescia). In caso di emergenza nucleare la Protezione civile ha pronto il protocollo di difesa. Primo, stare chiusi in casa due giorni con le finestre e le porte ben sigillate e non consumare alimenti prodotti nella zona contaminata come frutta, verdura, carne, latte.
PRONTO IL PIANO DEL VIMINALE
È un piano di soccorso. Direttive per i prefetti, le amministrazioni pubbliche e private, i Vigili del fuoco. Un piano periodicamente aggiornato. C’è poi l’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) che monitora costantemente la situazione.
E non c’è solo l’Ucraina a preoccupare . Ci sono ben 16 impianti nucleari francesi (su un totale di 19) che distano meno di 200 km dai confini italiani. Come dire: occhio a Putin, occhio a Macron. Il ministero dell’Ambiente con Gilberto Pichetto Fratin (FI) e quello della Salute con Orazio Schillaci (Indipendente) stanno vigilando. L’EDF,la società francese che produce e distribuisce energia, ha dei problemi con alcuni reattori. Insomma ha ammesso di non essere tranquilla. Figurarsi noi.