ROMA – Colin Kaepernick, stella Nfl non canta l’inno contro violenza Polizia. Ora il dibattito e l’attesa in Usa è su quanti atleti seguiranno Colin Kaepernick, campione del football Nfl che è rimasto silente e distaccato durante l’inno nazionale per protestare contro la violenza della Polizia nei confronti della comunità afro-americana. Il campionato non è ancora iniziato, la partita di pre-season non offriva particolari spunti di interesse: snobbare “The star spangled banner” nella patriottica America però non è uno scherzo, la “bandiera adorna di stelle” non può essere ammainata a cuor leggero. Il gesto ha destato scalpore, più spesso indignazione, qui no n cantare l’inno equivale a una dichiarazione di guerra.
Sempre più numerosi sono i fan di Colin che bruciano la maglietta del quarter-back dei San Francisco 49ers. Del resto la politica è quanto di più lontano da mentalità e costume nello sport americano. Bisogna tornare ai giochi olimpici del 1968 a Città del Messico e ai pugni chiusi di Tommy Smith e John Carlos, esibiti durante la premiazione per le medaglie d’oro e di bronzo dei 200 metri, in solidarietà con il movimento Black Power e contro il razzismo Usa.
Furono accolti in Patria a pesci in faccia, colpevoli di aver violato il sacro recinto dello sport, pagando con l’isolamento e l’ostracismo perenne quell’atto di insubordinazione e offesa alla bandiera. Era un altro mondo, un’altra epoca, un’altra America che stentava a farsi carico e superare la vergogna della segregazione razziale? Per Colin Kaepernick evidentemente no. Il rosario dei morti di persone di colore per mano della Polizia è decisamente più lungo di quello delle vittime con la pigmentazione giusta.
Il linebacker Myke Tavarres dei Philadelphia Eagles ci sta pensando, vuole imitare Colin: “Abbiamo una questione aperta in questi giorni e in questa epoca e sento che qualcuno ha bisogno di fare un passo avanti, che tutti noi dobbiamo fare un passo in avanti. Abbiamo questo diritto. C’i un sacco di cose che succedono di cui la gente non vuole nemmeno parlare e penso che noi, in quanto atleti, siamo guardati come un modello di riferimento”. Tocca a noi, insomma, atleti e divi di colore amati e ammirati fare il primo passo.