Il confessionale delle chiese è il posto migliore che un prete può usare per abusare dei fedeli. Il fenomeno degli abusi compiuti dai prelati è tornato alla ribalta negli ultimi tempi con lo “scandalo pedofilia”. Eppure il confessionale era stato introdotto proprio per evitare gli abusi sessuali dei religiosi.
La diffusione di questo oggetto nelle chiese italiane si deve al cardinale Carlo Borromeo, che voleva tenere separati e ben visibili al pubblico il confessore e la sua possibile preda e cercare così di porre un freno agli abusi e agli scandali sessuali dei “padri confessori”.
Il confessionale comincio a comparire nelle chiese di Milano nella seconda metà del 1500 e rapidamente si diffuse in tutta Italia. Il confessionale concepito da Borromeo era stato studiato per separare “confessore” e “confessato”.
Prima dell’introduzione del confessionale, il rito della penitenza veniva esplicato nella casa del sacerdote: ad un certo punto, sulla spinta della novità che arrivava dalla diocesi di Milano, dovette intervenire il Vaticano, che vietò le confessioni a domicilio, nelle case dei privati, nelle canoniche e nelle celle dei monaci.
Dopo il Concilio Vaticano II fu introdotta la confessione faccia a faccia fra il sacerdote ed il penitente. I nuovi confessionali consistono in un pannello che divide la sedia in cui siede il prete dall’inginocchiatoio in cui si trova il penitente; questo consente di mantenere l’anonimato. Esiste, però, anche la possibilità di sedere di fronte al sacerdote e fare così la confessione.
Non tutti all’interno della Chiesa hanno gradito le modifiche introdotte dal Concilio. Nel 1992 padre Giambattista Torello, un sacerdote psichiatra, scrisse un saggio in cui auspicava la reintroduzione del vecchio confessionale, nel quale sacerdote e penitente erano divisi da una grata: la grata, scriveva lo studioso, garantisce “una prudente distanza fra confessore e penitente”, anche se a volte può assumere un suo “fascino morboso” dovuto “a deviate impulsioni sessuali”.