Contro immigrati Netanyahu vuole una barriera sul Sinai

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu

Una lunga barriera, più o meno sofisticata, che corra lungo il confine fra Israele ed Egitto: questa, secondo il quotidiano Maariv, la soluzione scelta dal premier Benyamin Netanyahu per evitare che in futuro lo stato ebraico diventi meta di un’ondata migratoria dall’Africa che oltre a rappresentare un peso per l’economia locale rischierebbe di alterare il carattere demografico di Israele.

Compreso fra la striscia di Gaza e il golfo di Eilat (Mar Rosso) il confine israelo-egiziano è lungo circa 200 chilometri e non presenta ostacoli fisici di rilievo. In passato la sua eventuale chiusura è stata studiata sia per impedire attività criminali (come il traffico di stupefacenti e di donne destinate alla prostituzione) sia per ostacolare infiltrazioni terroristiche. Ma i costi esorbitanti dell’opera hanno indotto i governi passati a cercare soluzioni di ripiego, fra cui una intensificazione dei pattugliamenti di frontiera.

Ora la questione è tornata di attualità per motivi sociali. La presenza di profughi africani comincia a farsi sentire in alcune città israeliane, come Eilat, Arad e Tel Aviv. Netanyahu, scrive Maariv, ha la sensazione che la questione sia destinata ad aggravarsi in futuro: anche perchè altrove l’ondata migratoria dall’Africa deve cimentarsi con l’attraversamento di mari o oceani, mentre il Sinai rappresenta una via relativamente meno impervia per i profughi determinati a raggiungere un Paese sviluppato, come Israele.

Sul tavolo, precisa il giornale, ci sono tre ‘modelli’: una barriera di separazione simile a quella costruita fra Israele e Cisgiordania; una rete più modesta di reticolati e di fili spinati; e una soluzione “intermedia”. La prima soluzione costerebbe l’equivalente di un miliardo di euro, la seconda appena un decimo. Soluzioni concrete, comunque, non sono state adottate finora. Nel frattempo, prevede il giornale, Netanyahu prevede di regolare la posizione dei lavoratori stranieri stabilitisi negli ultimi anni in Israele. In particolare quelli i cui figli sono nati in Israele e sono stati assorbiti dal suo sistema educativo.

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