CARACAS – Visto da fuori, il carcere di San Antonio nell’Isola di Margarita è simile a qualsiasi altro penitenziario venezuelano. I soldati in tenuta verde presidiano le porte, i tiratori scelti osservano attentamente dalle torri di vedetta, le guardie lanciano occhiate minacciose ai visitatori all’ingresso. Ma, una volta dentro, la prigione che ospita circa 2000 detenuti tra venezuelani e stranieri, nella maggior parte dei casi finiti in manette per spaccio di droga, riserva enormi sorprese.
Visitatrici in bikini si divertono sotto il sole caraibico in una piscina all’aperto. Nell’aria aleggia un dolce aroma di marijuana. Una musica reggae risuona in una stanza piena di coppiette. Murales con il logo Playboy adornano la sala da biliardo, mentre i detenuti e i loro ospiti si accalcano per scommettere sui rumorosi combattimenti di galli nell’arena del carcere.
Non è raro che in Venezuela i detenuti armati abbiano un certo grado di autonomia nei penitenziari. Quelli dotati di smartphone e computer spesso hanno ordinato partite di droga, sequestri e anche omicidi dalle loro celle, come denuncia la stessa polizia che lamenta decenni di sovraffollamento, corruzione e insufficienza di personale.
Ma la prigione di San Antonio, nella famosa Isola di Margarita, storico punto di partenza per spedizioni di droga nei Caraibi e negli Stati Uniti, è un caso a parte. Alcuni dei trafficanti che finiscono dietro quelle sbarre, in un mix di edonismo e forza, camminano per i corridoi tenendo stretti tra le mani dei fucili.
“Sono stato nell’esercito per 10 anni, ho maneggiato con le pistole tutta la mia vita”, ha detto Paul Makin, 33 anni, un britannico arrestato a Porlamar nel 2009 per contrabbando di cocaina. “Qui ho visto fucili che non avevo mai visto prima. AK-47, AR-15, M-16, Magnum, Colts, Uzi, in grammi. Ci sono tutti”.
I detenuti raccontano che devono i loro privilegi a un insolito compagno di prigionia, Teófilo Rodríguez, 40 anni, un trafficante di droga che controlla l’arsenale. Rodriguez è il leader dei prigionieri ed è conosciuto con il soprannome di “El Conejo” (il coniglio), il che spiega la proliferazione del suo “marchio di fabbrica” in tutto il carcere: i murales col logo di Playboy.
All’interno del penitenziario per i detenuti non mancano le opportunità di fare soldi. Nei weekend i visitatori che vengono dall’isola fanno la fila per scommettere sui combattimenti dei galli. Altri visitatori, sapendo che le guardie li controllano all’entrata ma non all’uscita, ne approfittano per comprare droga. In ogni corridoio del penitenziario, ci sono prigionieri e ospiti che fumano marijuana, cocaina e crack.
Il governo venezuelano ha ammesso che nelle sue carceri ci sono gravi problemi. I combattimenti tra bande controllate da boss come “Il Coniglio” provocano un elevatissimo numero di uccisioni: un’associazione per i diritti umani ha calcolato che solo lo scorso anno sono stati uccisi 476 prigionieri, circa l’1 per cento della popolazione carceraria nazionale.
Sperando di affrontare la violenza, il sovraffollamento e le altre questioni sistemiche, il governo ha annunciato un piano per creare un nuovo ministero delle carceri. E il presidente Hugo Chávez, nel suo programma televisivo domenicale nel dicembre 2009, ha individuato il carcere di San Antonio come meritevole di particolari attenzioni, annunciando anche la costruzione di un reparto femminile che ospiterà 54 detenute.
Le associazioni per i diritti umani, però, denunciano che la corruzione e i ritardi istituzionali hanno ostacolato gli sforzi per migliorare le condizioni di molte prigioni. Dal 1990, oltre 1200 persone si sono diplomate nell’Istituto nazionale di Studi Penitenziari, ma meno di 30 lavorano nelle carceri, che si ritrovano carenti di figure professionali esperte. Non solo. In tutto il Venezuela i detenuti sono oltre 44.500, in carceri che potrebbero ospitarne solo 15 mila.
Nelle ultime settimane una serie di rivolte ha posto l’accento sulle difficoltà. Ad aprile il direttore e 21 dipendenti del carcere “Rodeo II”, nello Stato di Miranda, sono stati presi in ostaggio dai detenuti che chiedevano immediati interventi sanitari per far fronte a un’epidemia di tubercolosi. A maggio i prigionieri di un carcere di Caracas hanno sequestrato e poi liberato dopo 24 ore il direttore del complesso e 14 guardie per protestare contro presunti maltrattamenti. “Lo Stato ha perso il controllo delle carceri in Venezuela”, ha detto Carlos Nieto, direttore della Finestra per la libertà, che documenta le violazioni dei diritti nelle carceri del Paese.
Luis Gutiérrez, il guardiano di San Antonio, si è rifiutato di parlare della prigione che supervisiona. Nei fine settimana il penitenziario si riempie di coniugi, partner romantici e persino alcuni curiosi in cerca di svago, proprio come accade nelle località balneari dell’isola. I prigionieri mangiano carne alla brace sorseggiando whisky a bordo piscina. In alcune celle, dotate di aria condizionata e antenna parabolica, i detenuti si rilassano con le mogli o le fidanzate (in Venezuela sono permesse le visite coniugali). I figli di altri reclusi nuotano tranquillamente in una delle quattro piscine del carcere.
I prigionieri si vantano di aver costruito tutti questi comfort con i loro soldi. Le evasioni dal carcere di San Antonio sono rarissime (chi scappa corre il rischio di essere fucilato dai soldati di guardia). E se la prigione non può essere considerata sicura (lo scorso anno lo scoppio di una granata in infermeria ha ucciso diversi uomini), i detenuti sostengono che, rispetto ad altre carceri, lì regna la pace. “La nostra prigione è un modello”, ha detto Ivan Peñalver, 33 anni, che è finito in manette per omicidio e che ora predica nella chiesa evangelica cristiana del carcere.
Rodriguez “il Coniglio”, il capo dei detenuti, intervistato dal New York Times mentre le sue guardie del corpo stavano sgusciando ostriche per la sua cena, ha attribuito questi privilegi al suo ruolo. Un murales all’interno della prigione lo rappresenta come un capotreno accompagnato da scagnozzi armati di pistola mentre, come un burattinaio, tiene il cappio da cui pende una spia. “C’è più sicurezza qui che in mezzo alla strada”, ha affermato Rodríguez, che impartisce ordini dal suo cellulare. Uscito di prigione vuole entrare in politica.
Fino ad allora, a San Antonio la vita scorre seguendo il suo codice. Durante le feste gruppi rap vengono invitati ad esibirsi. Benché separati da un muro, le 130 detenute si mescolano liberamente con i prigionieri di sesso maschile. In altre parti del carcere, la normalità, o qualcosa che ci si avvicina, sembra prevalere.
Un prigioniero con una telecamera e un computer portatile funge da fotografo: dopo aver scattato istantanee ai compagni fa dei fotomontaggi con Photoshop. Un barbiere taglia i capelli. Uno stand di alimentari chiamato McLandro vende snack. La musica reggae suona giorno e notte. I galli cantano all’alba.
“E’ difficile spiegare com’è la vita qui dentro”, ha detto Klinaeva Nadezhda, 32 anni, una russa che sta scontando una condanna per traffico di droga. “Questo è il posto più strano in cui sia mai stata”.