E’ morto Pasanisi, l’uomo che difese Wojtyla dagli spari di Alì Agca

Proprio nel giorno in cui in Turchia veniva rimesso in libertà Alì Agca, l’uomo che il 13 maggio del 1981 attentò alla vita di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, a Roma moriva Francesco Pasanisi, l’ex capo dell’Ispettorato vaticano che in quell’occasione abbracciò il Papa e fece scudo col suo corpo ad altri possibili spari dell’attentatore.

Pasanisi, ispettore generale di Pubblica sicurezza presso il Vaticano dal dicembre 1979 al novembre 1981, è morto lunedì 18 gennaio all’età di 89 anni. «Una concomitanza incredibile», commenta il figlio Marcello a proposito della contemporanea liberazione di Agca in Turchia.

Le immagini di Francesco Pasanisi con l’abito insanguinato, mentre per proteggerlo faceva scudo al corpo di papa Wojtyla appena raggiunto dagli spari di Agca, sono entrate nella storia di quell’evento. E alla figura di Giovanni Paolo II, l’ex capo dell’Ispettorato è rimasto sempre fortemente devoto nel corso degli anni.

«Non solo devoto – spiega il figlio Marcello, avvocato -, ma è rimasto sempre in contatto con il segretario del Papa, monsignor Stanislaw Dziwisz. E in seguito è stato anche chiamato per testimoniare nella causa di beatificazione». In quella sede Pasanisi descrisse il fatto che sia lui che il Papa fossero usciti vivi dall’attentato come il primo “miracolo” di Wojtyla.

«Il Santo Padre era in piedi a bordo della campagnola bianca – raccontò – che procedeva lentamente lungo l’itinerario prestabilito, cioè due giri della Piazza, rasentando le transenne costipate al massimo da migliaia di fedeli festanti. Mi trovavo al mio posto, cioè a fianco del Pontefice e procedevo anche io lentamente».

«All’improvviso – proseguiva il racconto – un colpo di arma da fuoco (erano le 17.21). Non ebbi il tempo di pensare. Saltai sulla campagnola mentre il Santo Padre, lasciato l’appoggio, si accasciava. Lo strinsi al mio corpo abbracciandolo per proteggerlo. Aveva gli occhi socchiusi e mi sussurrò più volte con voce flebile: “grazie ispettore, grazie”. Gli ripetevo: “Coraggio Santità, coraggio”».

«Poi rivolto a monsignor Stanislaw – testimoniò ancora Pasanisi – mormorò qualcosa in polacco e mi sembrò di capire che rivolgesse un’invocazione alla Madonna di Czestochowa. Un secondo colpo di arma da fuoco aveva intanto ancora colpito il Santo Padre mentre una macchia del suo sangue sacro ed innocente era apparso sul suo abito bianco (il mio vestito ne fu intriso). Un altro sparo avrebbe colpito entrambi, ma ci salvammo insieme abbracciati. Fu il primo “miracolo” di Papa Wojtyla».

Quell’episodio, ricorda Marcello Pasanisi, unico rimasto della famiglia col fratello Gianfranco (la mamma è morta dieci anni fa), «ha segnato per sempre la vita di nostro padre e anche quella di tutto il nostro nucleo familiare». Tuttavia ora il fatto che, mentre il padre moriva, l’attentatore di allora tornava in libertà «l’abbiamo visto soprattutto come una pura casualità, per quanto sorprendente. Una cosa che ci ha molto meravigliato»

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Lorenzo Briotti