ROMA – L’Egitto ancora senza pace. Per l’intera giornata di martedì 13 agosto il Cairo è stato teatro dello scontro violento fra manifestanti pro-Morsi e cittadini contrari ai Fratelli Musulmani, sfociati in tarda serata in almeno un morto, ma l’intervento dei militari per sgomberare i sit-in degli islamici e il conseguente temuto bagno di sangue non c’è finora stato, anche se la situazione appare incerta.
C’è stata invece la dichiarata volontà della Fratellanza, finora non smentita, sei settimane dopo la deposizione del suo presidente Mohamed Morsi, di trattare con le altre parti in causa per far uscire il Paese dalla crisi politica che l’ha portato sul filo della guerra civile con un bilancio di oltre 300 morti. Una trattativa offerta e mediata dall’università Al-Azhar, la più prestigiosa istituzione religiosa dell’Islam sunnita, che ha riscosso l’adesione anche del partito fondamentalista El-Nour.
In mattinata di martedì il fronte che chiede la liberazione e il ripristino del presidente Morsi ha lanciato un appello a manifestare e a portare in piazza un milione di persone: da quando è scaduto l’ultimatum dei militari a sgomberare i due sit-in permanenti pro-Morsi al Cairo, attorno alla moschea Rabaa al-Adawiya e in piazza Al-Nahda, non solo i presidi e le barricate non sono stati tolti, ma hanno registrato l’afflusso quotidiano di migliaia di manifestanti solidali.
Il milione di manifestanti non c’è stato, ma diverse migliaia hanno provato a marciare dai due presidi sul ministero dell’ interno, incontrando però l’ostilità di contro-manifestanti laici, negozianti e comuni cittadini del centro del Cairo. In breve sono nate scaramucce violente, con lancio di sassi e bottiglie dalle strade, dai balconi e dalle finestre delle case, al quale i dimostranti hanno risposto per le rime, fino a provocare l’intervento della polizia con lacrimogeni contro i cortei. Poi in serata la tragedia: gli scontri fra opposte fazioni sono aumentati di violenza e almeno un manifestante pro-Morsi è rimasto ucciso da colpi d’arma da fuoco. La Fratellanza ha puntato il dito contro la polizia, che avrebbe fatto uso di agenti in borghese per sparare sui dimostranti.
Almeno sette altri manifestanti risultano feriti. Ma la resa dei conti finale nel braccio di ferro fra militari e islamici è sospesa per dare spazio all’iniziativa di pace proposta da Al-Azhar, la prima dall’inizio della crisi. Il portavoce dei Fratelli Musulmani, Gehad El-Haddad, ha dichiarato oggi che il suo movimento è disponibile a trattare, purché i negoziati si svolgano “nei giusti termini”, secondo regole condivise, e si basino sul “ripristino della legittimità costituzionale”, violata, secondo la Confraternita, dalla deposizione e la detenzione (in luogo segreto) di Morsi, regolarmente eletto oltre un anno fa. Il portavoce ha anche aggiunto che i Fratelli Musulmani non sono disposti ad accettare la mediazione del grande imam di Al-Azhar, Ahmed el-Tayeb, a causa del suo appoggio all’esercito, ma che vi sono stati contatti con altre autorità dell’istituzione religiosa. Anche i salafiti di El-Nour hanno fatto sapere di essere stati invitati dalla “nobile Al-Azhar” a sedersi al tavolo di pace e di volersi adoperare per convincere anche altre formazioni riottose.
Nell’attesa è stato smantellato un altro “pezzo” del potere della Fratellanza: il presidente ad interim insediato dai militari, Adly Mansour, ha rimosso, come annunciato, i 20 governatori di provincia nominati da Morsi, sostituendoli per una buona metà con generali in pensione.
Ma intanto un focolaio di forte tensione, che agita anche il fronte pro-Morsi, viene dalla penisola del Sinai, percorsa da settimane dalle scorribande di gruppi estremisti, che oggi, in risposta al raid di un drone, probabilmente israeliano, che ha ucciso quattro jihadisti, hanno lanciato un razzo contro la vicina città balneare israeliana di Eilat, intercettato in volo dal sistema anti-missile Iron Dome, opportunamente allestito dallo Stato ebraico a ridosso del nuovo confine “caldo”. Il lancio è stato rivendicato dal gruppo jihadista Consiglio della Shura dei mujaheddin, che ha promesso che “Eilat e altre città israeliane non avranno sicurezza, né turismo né crescita economica”.