
IL CAIRO – Una mail destinata ad uso interno e finita per sbaglio nelle caselle di posta dei giornalisti accreditati con il Ministero dell’Interno egiziano. Cosa conteneva? Un “piano segreto” elaborato dallo stesso dicastero per far fronte alla crisi mediatica inseguito all’arresto di due giornalisti, Amr Badr e Mahmoud Al-Sakka compiuto nella sede del Sindacato della stampa (circostanza mai avvenuta prima nei 75 anni di storia dell’istituzione). In mezzo c’è anche un ordine di censura sul caso di Giulio Regeni proposto dal Procuratore Generale.
La notizia è riportata dal sito del quotidiano Al Masry Al Youm. Il dicastero ha poi inviato agli stessi media egiziani una seconda mail sottolineando che l’invio era dovuto ad un “errore tecnico”. Citando “fonti del ministero”, il sito scrive che l’episodio riflette un presunto “stato confusionario in cui versa il ministero”. Il piano doveva essere sottoposto all’attenzione del ministro, il generale Magdy Abdel Ghaffar, e ora sono in corso “indagini allargate” nei confronti di “alcuni dipendenti del dipartimento informazione del ministero”.
La Nota forniva indicazioni su come affrontare a livello mediatico le ripercussioni del caso dei due giornalisti arrestati domenica sera nella sede del Sindacato con l’accusa di diffusione di notizie false e tentativo di rovesciare le istituzioni. Nel testo si esprimono valutazioni sulla “escalation” del sindacato, che in questi giorni chiede a gran voce le dimissioni del ministro Ghaffar. Si parla di “escalation premeditata” e finalizzata a “ottenere vantaggi elettorali”; si prevede una “campagna feroce contro il ministero” e si esorta a tenere “una posizione fissa, immutabile” minacciando di “punire” chi dovesse discostarsene.
Seguono i nomi dei personaggi accusati di “tentare di mettere in campo una campagna orchestrata contro il ministero”: tra loro iil presidente del sindacato Yehia Qalash, direttore del quotidiano Al Bedaiah, e il sottosegretario Khaled Al Balashi, attivista di sinistra che spesso risponde in maniera dura agli eccessi del ministero dell’Interno. Il suggerimento, dunque, è che il ministero deve mantenere la sua linea: “Consigliamo di mantenere salda la linea seguita finora nei chiarimenti sul caso: non c’è stata nessuna irruzione, ma un’azione concordata con la dirigenza del sindacato per arrestare due ricercati dalla procura di Stato. Se arretrassimo da questa posizione ciò significherebbe ammettere che c’è stato un errore e il passo successivo è: chi ha compiuto l’errore? E sarebbe poi necessario prendere misure contro chi lo avrebbe compiuto”.
Ghaffar, già dato per dimissionario alla vigilia di un rimpasto di governo a marzo scorso, è l’uomo che sta avvelenando i rapporti con l’Italia per la cattiva conduzione delle indagini sul caso Regeni. Nel lungo documento si prevede anche che “l’intervento diretto del ministro dell’Interno sarà accolto da dubbi da parte dei media” e si consiglia di ricorrere a “esperti della sicurezza o a generali in pensione”, impostando un “coordinamento con alcuni programmi televisivi, per invitarli a parlare e ad esporre il punto di vista del ministero”.
Il dicastero, da tempo sotto pressione per il caso della tortura a morte di Giulio Regeni, da tre mesi senza un colpevole, è stato criticato oggi anche dal principale quotidiano governativo, Al Ahram, che apre l’editoriale scrivendo: “Il ministero dell’Interno ha commesso molti errori nell’ultimo periodo e il più recente è il comportamento deplorevole nei confronti dei giornalisti”.