IL CAIRO – Sette anni di carcere per i tre giornalisti di Al Jazeera, arrestati a dicembre con l’accusa di disinformazione e appoggio ai Fratelli Musulmani, confraternita dichiarata “terrorista” in Egitto. La sentenza è stata emessa dai giudici del tribunale penale del Cairo nei confronti del capo dell’ufficio di corrispondenza del canale in lingua inglese di Al Jazeera, Mohamed Fahmy, del produttore televisivo Baher Mohamed (condannato a 10 anni) e del pluripremiato reporter australiano Peter Greste, che in passato ha lavorato anche per la Cnn, Bbc e Reuter.
La pena del producer egiziano Mohamed è di 10 anni perché, a quella di sette anni ricevuta al pari degli altri due giornalisti stranieri, si è aggiunta una condanna di 3 anni per “possesso di armi senza licenza”.
La stessa pena è stata inflitta ai 12 giornalisti in contumacia tra cui compaiono un britannico e una canadese. L’accusa aveva chiesto tra i 15 e i 25 anni di carcere. Il processo ha coinvolto 20 reporter, fotografi e cameraman accusati di “disinformazione” e sostegno alla Fratellanza Musulmana, bandita di nuovo come organizzazione terroristica nell’Egitto dei militari. C’è possibilità di ricorso in Cassazione.
Immediata la reazione internazionale tra lo “sgomento” del premier britannico, David Cameron, e le proteste a gran voce dell’Australia. Gli Stati Uniti hanno chiesto clemenza per i reporter condannati. Mentre centinaia di giornalisti si sono riuniti martedì mattina di fronte alla sede della Bbc nel centro di Londra, la New Broadcasting House, per protestare contro la sentenza. E’ stato rispettato un minuto di silenzio e gran parte dei manifestanti aveva un nastro adesivo nero sopra la bocca per sottolineare come sia stata violata la libertà di informazione. La Bbc ha mandato in onda le immagini dei genitori di Greste che sono stati intervistati a Brisbane, in Australia. Juris Greste, padre del reporter condannato, si è detto ”sconvolto” e ”scioccato” dal verdetto. ”E’ un momento molto buio, non solo per la nostra famiglia ma per il giornalismo in generale”, ha aggiunto.
Gli imputati sono accusati di aver fabbricato informazioni per nuocere all’Egitto facendolo apparire sull’orlo della guerra civile e di aver fornito soldi e armi ai Fratelli musulmani, dichiarati organizzazione terroristica peraltro solo quattro giorni prima dell’arresto di Greste, avvenuto a fine dicembre.
Prendendo di mira anche le condanne a morte di massa di Fratelli musulmani, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto “profondamente preoccupato”. Di condanne “raggelanti e draconiane” ha parlato il segretario di Stato Usa John Kerry definendole un “fastidioso arretramento per la transizione egiziana”, fase di cui aveva discusso appena domenica al Cairo con il neo-presidente Abdel Fattah al-Sisi. Il capo della diplomazia americana ha chiesto a Sisi di “rivedere tutte le sentenze politiche” degli ultimi anni valutando tutti i “rimedi” tra cui quello della “grazia”.
Ma il presidente egiziano ha già rispedito al mittente le critiche esortando la comunità internazionale a rispettare l’indipendenza della magistratura egiziana. “Non si compiono ingerenze negli affari della magistratura – ha detto Sisi – che è indipendente”. Pur senza citare le condanne dei tre giornalisti della tv qatariota, il presidente ha detto che “nessuno deve criticare le istituzioni dello Stato” egiziano.
Dal canto suo Londra ha lamentato nel processo “vizi procedurali inaccettabili” e, attraverso il ministro degli Affari esteri William Hague, ha ricordato che “la libertà di stampa è un pilastro di una società stabile”. L’emittente Al Jazeera ha parlato di “sentenza ingiusta” basata su accuse che “non possono giustificare nemmeno un giorno di prigione”.
L’emittente è basata in Qatar, paese in attrito geo-politico con l’Egitto dopo la destituzione del presidente Mohamed Morsi, leader della Confraternita islamica ora bandita. La tv è stata accusata dalle autorità egiziane di sostenere in modo fazioso i Fratelli musulmani e per questo i suoi due uffici di corrispondenza del Cairo erano stati chiusi tra luglio e agosto, dopo la deposizione di Morsi da parte dei militari guidati da Sisi e la sanguinosa repressione dei raduni di protesta pro-Fratellanza.