Pur senza volerli giustificare, il capo dell’MI5, i servizi segreti britannici, Jonathan Evans, ha sostenuto che gli abusi e le torture sui detenuti hanno contribuito ad evitare numerosi attentati all’indomani dell’11 settembre. Evans, che parlava ad un simposio promosso dall’Università di Bristol, ha ammesso per la prima volta che all’indomani degli attentati alle Torri Gemelle, la Gran Bretagna ha dovuto ricorrere alla collaborazione di Paesi stranieri perchè la sua conoscenza di al-Qaeda era ancora molto sommaria.
L’MI5 -ha aggiunto- non avrebbe adempiuto ai suoi compiti se non avesse lavorato in collaborazione con gli 007 statunitensi e di altri Paesi ed ha ammesso che i contatti con le agenzie di Paesi con norme e prassi «molto lontane dalla nostre, posero un vero e proprio dilemma all’MI5» ma ha ribadito di aver avuto «piena fiducia» nel modo in cui i suoi uomini si comportarono.
Evans, secondo quanto riferisce il Times, ha sottolineato di non voler difendere le torture venute alla luce negli Usa (per esempio, il ‘waterboarding’, l’annegamento simulato che subì a più riprese colui che è considerato la mente organizzativa dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed); ma ha sottolineato l’importanza di tener presente i benefici derivati alla Gran Bretagna dai contatti con l’intelligence statunitense. Sono state salvate – ha detto – le vite di cittadini britannici e molti attentati sono stati evitati come risultato dell’efficace cooperazione tra i servizi di intelligence dopo l’11 settembre.
