Ex colonie: francesi in Africa, la gente non li ama

Non è un bel momento per essere francesi nell’Africa francofona. Mentre la democrazia scompare, Paese dopo Paese, la Francia spesso si schiera silenziosamente – ancora una volta – a fianco dei dittatori passati e futuri, per difendere i propri interessi ora su una miniera di uranio in Niger, ora sul petrolio nel Gabon, ora su un porto in acque profonde in Camerun.

Nonostante il presidente Nicolas Sarkozy, tre anni fa, avesse promesso un cambiamento nelle relazioni con l’Africa, promettendo che sarebbero state «eque» e che non avrebbero conservato traccia «delle cicatrici del passato». Per tutta l’estate, mentre le opposizioni locali protestavano, i leader al potere venivano ricevuti a Parigi e viceversa, come riportato da un articolo del New York Times di Adam Nossiter.

Nelle strade della regione, dove le persone chiedevano democrazia a gran voce, questa scelta di campo – della metà campo del potere – da parte della vecchia potenza coloniale ha portato a un’escalation di attacchi nei confronti delle strutture e dei cittadini francesi, bersagliati da lanci di pietre al punto da essere costretti a rimanere in casa o addirittura a evacuare.

Per decenni, la Francia ha avuto un ruolo chiave nella creazione e nella caduta dei governi in quest’area del pianeta. E mentre questa percezione alla prova dei fatti oggi risulti esagerata rispetto alla reale influenza dello Stato europeo, è pur vero che la Francia resta il principale partner commerciale degli Stati della regione. Basta considerare che, nel 2007, tre sole banche francesi costituivano il 70 per cento del settore bancario di tutta l’Africa francofona. Il che spiega come mai i manifestanti antigovernativi pensino che l’ex madre patria muova ancora i fili della politica locale. Nonostante i funzionari lo neghino, del resto, le loro azioni spesso non fanno che confermare i sospetti.

In Gabon, dove l’elezione del figlio di un dittatore ha infranto le speranze di porre fine ai quarant’anni di potere incontrastato della famiglia Bongo, l’uomo di Sarkozy in Africa, Alain Joyandet, ha partecipato alle celebrazioni per il suo insediamento, sostenendo con i giornalisti che «bisognasse dargli tempo». Ufficialmente, la Francia ha sostenuto di non avere avuto alcun ruolo nelle elezioni in Gabon, ma dietro le quinte Robert Bourgi, un avvocato parigino vicino all’entourage del Presidente Sarkozy (che gli ha concesso addirittura la Legion d’Onore), ha sostenuto apertamente la candidatura di Bongo, che peraltro è suo cliente.

In Africa, «l’opposizione al potere significa anche opposizione alla Francia» ha sintetizzato la direttrice dell’Istituto di Studi Africani della Columbia University, Mamadou Diouf.

«E’ paradossale – ha continuato – i difensori dei diritti umani praticano una politica completamente contraria a quelli che sono i loro principi sulla carta». Critiche respinte al mittente dal segretario di stato per la cooperazione Joyandet, che ha dichiarato: «Non è vero che sosteniamo a tutti i costi i governi al potere. Abbiamo sempre chiesto ovunque il ritorno della democrazia».

Tra il dire e il fare però, si sa, c’è di mezzo il mare. Il mese scorso, Mohamed Ould Abdel Aziz, il generale che con un colpo di stato è salito al potere in Mauritania e ha consolidato la propria posizione con un’elezione di facciata quest’estate, è stato ricevuto cordialmente a Parigi e fotografato insieme a un sorridente Sarkozy.

La stessa cosa è avvenuta, lo scorso luglio, con il presidente del Camerun, Paul Biya, al potere dal 1982 e recentemente tornato alla ribalta per aver definitivamente abolito i termini del proprio mandato. Nonostante Amnesty International abbia recentemente segnalato numerose violazioni dei diritti umani da parte dei funzionari del Paese (tra cui pestaggi, torture, arresti e esecuzioni sommarie di oppositori politici), Sarkozy lo ha pubblicamente definito un’oasi di «moderazione». Affermazione che ha sconvolto gli abitanti del Camerun e li ha spinti a vedere nella Francia un complice dei misfatti di Biya.

Persino i leader della giunta militare della Guinea, messi all’indice dalla comunità internazionale dopo il massacro di manifestanti disarmati avvenuto lo scorso 28 settembre, sono stati cordialmente ricevuti a Parigi due settimane prima della sanguinosa repressione, quando persino i funzionari americani stavano evitando ogni contatto.

Il risentimento dei cittadini africani nei confronti della Francia sta rapidamente dilagando, secondo gli analisti. «Alla gente non piace la Francia perché non sta aiutando l’Africa a scegliere liberamente i propri rappresentanti – afferma Achille Mbembe, storico e politologo dell’università di Witwatersrand in Sud Africa – E il processo di democratizzazione ad oggi si è bloccato praticamente ovunque».

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