ROMA – Passo felpato e carattere solitario, il gatto domestico avrebbe forgiato i suoi connotati nell’Antico Egitto. Dietro c’è una storia che è scritta nel Dna e che per la prima volta è stata scientificamente dimostrata da un gruppo di ricercatori dell’Università della California, diretti da Jennifer Kurushima.
Il team californiano ha analizzato il Dna di tre mummie di felini datati tra il 600 e il 300 avanti Cristo. Evento più unico che raro, dal momento che l’Egitto non lascia più uscire dai propri confini alcun reperto o frammento archeologico. I ricercatori hanno scoperto che alcune sequenze genetiche caratteristiche (marker) dei Dna analizzati sono vicine a quelle degfli attuali gatti domestici e si distinguono invece da quelle appartenenti a psecie selvatiche che popolavano il Medio Oriente e l’Africa.
Molte tesi accreditate, collegano invece l’addomesticamento dei gatti con l’agricoltura, nata in Medio Oriente quasi 10 mila anni fa. I felini sarebbero stati utilizzati in principio per difendere i raccolti dai topi. Ipotesi avvalorata anche nel 2004, quando da uno scavo archeologico francese a Cipro emersero i resti di un giovane esemplare, sacrificato al momento della morte del suo padrone e sepolto a 40 centimetri da lui
Ma in Egitto il gatto non era sfruttato solo per la sua funzione predatoria. La civiltà egizia ne ha anzi fatto un importante simbolo religioso: la dea Bastet era raffigurata con il corpo o la testa di gatto, nei pressi del santuario a lei dedicato c’erano grandi allevamenti felini che venivano sacrificati alla dea per ottenere benefici.
In realtà lo studio californiano dimostra solo che la civiltà egizia ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di addomesticamento del gatto, ma non si conosce l’esatta data di origine del processo.