ROMA – Andreas Lubitz era il copilota dell’Airbus A320 della Germanwings, che si è schiantato martedì sulle Alpi francesi. Copilota che probabilmente si è suicidato mentre il pilota che era con lui era andato in bagno. Lubitz che si è barricato, portando a compimento la sua follia suicida. Un caso analogo, anzi fotocopia, a quello che si verificò nel 2013 in Namibia, su un aereo della Mozambique Airlines. Ma non è stato l’unico caso.
Lubitz era solo ai comandi quando l’aereo è caduto. È stato lui ad “azionare il bottone che comanda la perdita di quota” e l’aereo in otto minuti è passato da circa 12 mila a 2 mila metri di altitudine, come specificato dal procuratore Brice Robin, durante una conferenza stampa a Marsiglia. Si rafforza dunque l’ipotesi del suicidio. “Per i dati che ho oggi il copilota, attraverso una astensione volontaria, ha rifiutato di aprire la porta della cabina al comandante”. Patrick S. invece, comandante di bordo, padre di due bambini e originario di Dusseldorf, sarebbe rimasto fuori dalla cabina, e avrebbe tentato invano di rientrare in cabina.
Per quanto l’idea di una persona che sceglie di togliersi la vita commettendo al contempo una strage possa sembrare incredibile, non sarebbe comunque la prima volta. L’ultimo caso in ordine di tempo risale al dicembre del 2013, e cioè a quando il comandante di un volo LAN Mozambique Airlines, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbe scelto di far schiantare l’Embraer 190 che stava pilotando in un parco nazionale in Namibia. Attese che il suo vice andò alla toilette e si chiuse nella cabina dell’Embraer 190. Impedì quindi ai membri dell’equipaggio di entrare. Disattivò il pilota automatico, cambiò velocità e altitudine e infine puntò verso terra. Persero la vita 30 persone. Si parla di problemi mentali dell’ufficiale e di guai familiari.
Un’altra storia simile è quella del 21 agosto del 1994, quando il secondo pilota sul volo Royal Air Maroc 630, Younes Khayati, disconnesse gli apparati di un Atr e fece precipitare il velivolo in un’area a nord di Agadir: furono 44 le vittime. L’aereo, un bimotore ad elica in grado di trasportare una cinquantina di persone, era diretto a Casablanca, dove però non arrivò mai. Dopo circa 10 minuti di volo, mentre si trovava intorno ai 16.000 piedi di altitudine, l’aereo entrò in picchiata andandosi a schiantare sui monti dell’Atlante. Tutti i 44 passeggeri a bordo, e i membri dell’equipaggio, morirono nell’impatto. Tra questi, un principe kuwaitiano e sua moglie: il principe era il fratello dello sceicco Ahmed al Mahmoud al Jabir al Sabah, ministro del Kuwait della difesa. Almeno 20 dei passeggeri del volo non erano marocchini e tra loro c’erano otto italiani, cinque francesi, quattro olandesi, due kuwaitiani, e un americano. La commissione che indagò sull’incidente stabilì che questo era da attribuirsi alla responsabilità del giovane pilota che deliberatamente disinserì il pilota automatico puntando il muso dell’aereo verso le montagne. Conclusione contestata da alcune associazioni dei piloti.
Dicembre 1997, Indonesia. Un aereo di una compagnia locale (un Boeing 737 della Silkair, in volo da Giacarta, Indonesian a Singapore) si inabissò nella giungla, in una zona paludosa, le vittime furono 104. Per gli investigatori Usa si trattò di una mossa deliberata del pilota, di parere diverso gli indonesiani che propendono per un’avaria. Un mistero rimasto tale.
Ottobre 1999, un aereo dell’Egypt Air precipitò nell’oceano Atlantico con 217 persone a bordo. L’attenzione si concentrò sul primo ufficiale che poco prima dello schianto avrebbe pronunciato la frase “mi affido a Dio”. Un’interpretazione contestata però dai familiari del pilota e dalle autorità egiziane, per i quali si è trattato di un problema tecnico del 767.
L’episodio più recente, prima della tragedia dell’aereo GermanWings, fu nel marzo del 2014, quando il volo MH370 della Malaysia Airlines mentre percorre la rotta Kuala Lumpur-Pechino scompare dai radar. Una delle molte ipotesi (non certo l’unica) è che uno degli ufficiali o una terza persona abbia dirottato il Boeing 777 per poi dirigersi verso sud, in direzione delle acque occidentali dell’Australia. A favore di questa tesi, due dei pochi elementi certi relativi al volo della Malysia: il primo è che i piloti, nell’ultima comunicazione, dissero “tutto ok, buona notte”, senza segnalare quindi alcun problema; il secondo è che, nonostante l’aereo abbia continuato a volare per alcune ore dopo la scomparsa dai radar, in quel lasso di tempo non ci fu mai nessuna comunicazione da parte dei piloti. Nei giorni successivi alla scomparsa del volo, a casa del pilota Zaharie Ahmahd Shah, venne ritrovato un simulatore di volo ‘artigianale’ che insospettì gli inquirenti. Ma esaminandolo non venne fuori nessun elemento interessante o che potesse indirizzare le indagini. Un disastro che ad oggi, a distanza di un anno, è senza una spiegazione ufficiale.