MISURATA – Spingono, urlano, si mettono in fila e reggono male l’attesa: così in Libia va in scena la lunga e macabra processione per vedere il corpo martoriato del rais Muammar Gheddafi. E’ in una cella frigorifera per polli prima e poi in un container dove viene normalmente messa l’acqua minerale.
Tutti vogliono vedere il cadavere del colonnello, con i ribelli di Misurata che lo scortano. Si trova al «Mercato dei Tunisini».
La corsa contro la storia di Muammar Gheddafi si è fermata in un tunnel di cemento a Sirte. Dove tutto era cominciato. Le ultime parole del combattente e indomito rais sono state le piu’ scontate, e umane: ”Non sparate”.
Dopo due mesi da primula rossa e 42 anni di regime, a fermare la sua corsa è stato simbolicamente un ragazzino di 20 anni, diventato subito eroe, che ha portato con se’ come trofeo l’ultimo orpello del rais: una pistola d’oro. E le immagini del rais ferito, debole, ormai vinto, hanno fatto immediatamente il giro del mondo.
Rievocando la fine di altri dittatori, da Mussolini a Saddam. Il rais sarebbe stato preso vivo, come mostra un video diffuso da Al Jazira, ma le foto del suo cadavere con un foro di pallottola sulla tempia hanno immediatamente fatto pensare ad una esecuzione.
“C’era molta confusione. Gheddafi era attorniato dai nostri uomini. L’ho visto spintonato, venire trascinato sul selciato. Tanti gridavano, lui farfugliava che era disposto a regalare soldi a tutti, purché lo lasciassero andare. Perdeva sangue, tanto sangue. A 69 anni il corpo non regge. Per me è morto dissanguato”, racconta Hammad Mufta Ali, 28 anni fa, comandante della Qatiba (brigata) Dawahi (periferie) al Corriere della Sera.
“Alle otto di giovedì ci hanno detto che dovevamo andare subito con le nostre auto verso l’ultimo quartiere dei lealisti. Via radio mi hanno avvisato che i nemici stavano scappando sui gipponi. Siamo arrivati vicino al lungomare e abbiamo sentito gli scoppi delle bombe lanciate dall’Onu. Subito dopo ho visto una trentina di gipponi quattro ruote passarci vicino. Procedevano con difficoltà. La strada era ingombra di macerie e resa pericolosa dagli ordigni inesplosi. C’è stato uno scontro a fuoco violentissimo. Li abbiamo inseguiti per pochi chilometri. Loro si sono divisi. Non era semplice distinguere le loro auto dalle nostre. L’unico criterio era che loro sono molto meglio equipaggiati di noi. I loro fucili sono modelli modernissimi, come non ne ho mai visti”.