ROMA – Giulio Regeni è morto per la frattura di una vertebra cervicale provocata da un violento colpo al collo o da una torsione indotta della testa oltre il punto di resistenza. Sul suo corpo ci sono anche i segni di un violento pestaggio e numerose abrasioni e lesioni.
Non solo. Rai News aggiunge un altro, eloquente, dettaglio:
Secondo i primi esami autoptici svolti al Cairo, Giulio è morto tre-quattro giorni prima del ritrovamento. Sarebbe quindi rimasto quattro o addirittura cinque giorni nelle mani dei suoi carnefici. Giorni di botte e sevizie che lo hanno reso quasi irriconoscibile.
Il cadavere, arrivato sabato a Roma e portato all’Istituto di medicina legale de La Sapienza, è stato sottoposto ad una tac, ad un esame tossicologico e a radiografie. Durante l’autopsia sono stati raccolti numerosi reperti che saranno sottoposti ad analisi specifiche di laboratorio. Giulio sarebbe, dunque, morto lentamente dopo esser stato picchiato, probabilmente torturato. Da chi? E perché?
Fonti mediche spiegano: la frattura della colonna cervicale di Giulio Regeni, determinata quasi certamente da una torsione innaturale del collo del giovane da parte di una persona che gli stava di fronte, ha avuto come conseguenze la rottura del midollo spinale e una conseguente crisi respiratoria, alle quali è seguita, infine, la morte. Esclusa, dall’esame autoptico, la violenza sessuale.
Se il corpo del giovane ricercatore è rientrato in Italia, la verità sulla sua morte è ancora molto lontana. A quasi due settimane dalla scomparsa nelle strade del Cairo, l’unica certezza è il suo ritorno in una bara. Il feretro è arrivato con un volo dell’Egypt Air all’aeroporto di Fiumicino e subito è stato trasferito all’istituto di medicina legale della Sapienza per l’autopsia, un passaggio fondamentale dal quale gli inquirenti italiani sperano di ottenere almeno parte di quelle risposte che continuano a non arrivare dall’Egitto.
L’esame autoptico – disposto dal pm Sergio Colaiocco titolare dell’indagine e al quale ha partecipato anche un consulente medico-legale nominato dalla famiglia del giovane – si è protratto fino alla tarda serata di sabato ma i primi elementi sembrerebbero confermare quanto sospettato fin dall’inizio e, di fatto, escluderebbero definitivamente tutte le bugie raccontate finora dall’Egitto.
Al momento la collaborazione promessa dalle autorità egiziane sembrerebbe essere rimasta sulla carta: il team di investigatori italiani, da due giorni al Cairo, ha potuto fare poco o nulla poiché per ora non ha avuto né accesso agli atti dell’inchiesta né ha incontrato chi sta conducendo gli accertamenti. Contatti ci sono stati, ma solo con funzionari che non si occupano direttamente dell’indagine.
Al team è stato anche comunicato che il medico legale ha cominciato “ad esaminare campioni di Dna e di diverse parti del corpo” di Regeni e che i “risultati “definitivi saranno completati alla fine del mese”.
E al Cairo è caduta l’ennesima bugia: le due persone “arrestate” venerdì sera, in realtà non sono mai state arrestate. Erano soltanto due “sospetti” – dicono le stesse fonti di sicurezza egiziane che avevano accreditato l’arresto – che sono stati fermati, nell’ambito di una serie di controlli e interrogatori che hanno riguardato amici e colleghi del ricercatore, e rilasciati. Fonti italiane raccontano però il giallo in altro modo: gli egiziani avrebbero tentato di forzare la mano mettendo sul piatto due colpevoli per chiudere la vicenda, ma davanti alla ferma opposizione italiana avrebbero dovuto fare marcia indietro.
Dunque si ritorna al punto di partenza. Perché Giulio è stato ucciso? Quando e da chi? Perché il suo corpo è ‘ricomparso’ appena l’Italia ha reso nota la notizia della sua sparizione? Hoda Kamel, rappresentante dell’ Egyptian center for economic and social right, una ong che si occupa di tutela di diritti umani e i cui uffici sono stati perquisiti più volte dalle forze di polizia, ha raccontato al sit in davanti all’ambasciata italiana di aver incontrato Giulio diverse volte, per metterlo in contatto con alcuni membri dei sindacati indipendenti.
“La prima volta venne da noi quattro mesi fa, l’ho incontrato 5 o 6 volte con i rappresentanti sindacali. Per il suo lavoro aveva scelto i negozianti, specialmente i più poveri e gli ambulanti. Glieli ho fatti incontrare per parlare della loro esperienza”. Durante questi incontri, ha detto Hoda, Giulio però “non era impaurito per nulla. Era solo cauto, non si è messo in una situazione che avrebbe potuto danneggiarlo, mai e poi mai”.
Una cautela che, però, non lo ha salvato. Fonti qualificate italiane ribadiscono che si continua a ritenere plausibile che il movente della sua morte vada ricercato nel suo lavoro sui sindacati e nei suoi contatti. Ma, anche, che non viene scartata l’altra ipotesi, vale a dire che Giulio non era né seguito né controllato ma possa esser stato ucciso proprio per quello che è avvenuto la sera della scomparsa. Secondo questa ipotesi, quel 25 gennaio, dopo aver preso la metro, Giulio si sarebbe unito con altri manifestanti nella zona di Giza e lì sarebbe stato fermato assieme ad altri attivisti. L’arresto di “un occidentale”, quella sera, fu confermato da una giornalista egiziana. Dove sia stato portato, al momento, nessuno lo sa. Ma le fonti non escludono che possa esser finito in mano a qualche milizia paramilitare, non è dato sapere quanto vicina alle autorità ufficiali. Perché lo hanno ucciso? Magari perché uno straniero, una volta fuori, avrebbe potuto rivelare i pestaggi e le torture subite.
Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha detto: “A quanto risulta dalle cose che ho sentito sia dall’ambasciata sia dagli investigatori italiani che stanno cominciando a lavorare con le autorità egiziane, siamo lontani dalla verità”.
“Ci aspettiamo – ha aggiunto il ministro della Giustizia Andrea Orlando – che sia raggiunta al più presto la verità e che sia fatta giustizia. Chiediamo piena collaborazione alle autorità egiziane e chiediamo loro di agire con determinazione, trasparenza e rapidità”.