Un’esplosione fa crollare i muri di fango e mattoni della casupola. David Rohde si ritrova improvvisamente disteso per terra sommerso da detriti e pezzi di muro. Un drone – il sofisticato aereo telecomandato americano– ha colpito un bersaglio poco distante.
Bisogna pregare che non ci siano vittime civili. Nel caso contrario i talebani potrebbero esigere una crudele vendetta. La testa di Rhodes da mostrare al mondo.
Nel cortile fuori dalla casa, si ritrovano le guardie. Afferrano i loro fucili, guardano il cielo con timore. Temono un nuovo attacco. Ingiungendogli di coprirsi il volto con una sciarpa spingono David in una station-wagon. Non c’è altro da fare che pregare.
In lontananza si sentono i lamenti e le grida di chi conta i suoi morti. Se molte persone sono state uccise, in particolare uomini e donne, l’omicidio rituale è per Rohde la fine più probabile.
Due settimane prima il giornalista era stato trasferito da Miram Shah, la capitale del Nord Waziristan in un remoto villaggio del Sud. La regione è la roccaforte di Baitullah Mehsud, il leader dei talebani pakistani. Qui si ritrovano militanti uzbechi, arabi, afghani e pakistani.
L’attacco sviluppa ondate di paranoia tra i Talebani. Credono che i missili siano indirizzati da una rete di spie locali. Civili innocenti sono perquisiti, accusati di essere spie americane ed ammazzati.
Pochi giorni dopo l’attacco del drone, militanti stranieri arrestano uno del posto. L’uomo confessa di essere una spia dopo che gli hanno tagliato una gamba. Lo decapitano, appendono come avvertimento il corpo mutilato nel bazar locale.
La vita nella nuova prigione è ancora più dolorosa e grigia. Le guardie di David sono tutti ragazzini. Ore ed ore senza comunicare. Nessun pensiero tranne quello di una probabile morte. Per restare connessi con la realtà c’è solo una radio a bassa frequenza che trasmette la BBC. David la ascolta per ore.
Un giorno, alla metà di marzo, una delle guardie arriva con un lettore DVD. Tutti nella stanza si precipitano davanti allo schermo. L’immagine è sgranata ma si riconosce la faccia di un ostaggio.
«Ciao Peter » come stai?
« Bene » risponde Piotr Staczak, un geologo polacco di 42 anni rapito dai talebani in settembre.
Basta poco per capire che il video termina con la decapitazione di Piotr.
David si alza in tempo per evitare il crudo spettacolo e non dare soddisfazione ai suoi rapitori.
Da quel momento i video diventano il passatempo preferito delle sue guardie. Video di un crudele monotona ripetitivitĂ .
Di notte, specialmente, quando David è confinato nella medesima stanza con i guardiani, è impossibile sfuggire a questo raccapricciante hobby.
Sullo schermo sfilano snuff film accanitamente replicati. Talebani che uccidono uomini locali dichiarati spie americani. Bombe piazzate sulle strade afghane che fanno saltare in aria convogli americani. Gli ultimi giorni di vita di attentatori suicidi orgogliosamente pronti a andare in paradiso.
Alla fine di aprile, Abu Tayyeb, il capo talebano che ha rapito David a tradimento, dopo avergli accordato un’intervista, entra nella prigione. Vuole un altro video per i media, per aprire di nuovo una contrattazione.
Dovrà piangere, spiega al giornalista. Per Rohde non è possibile rifiutare, se lo facesse metterebbe a repentaglio la vita dei suoi compagni di prigionia.
Il comandante in capo, sulla cinquantina, sistema una sciarpa sul volto di David. Poi gli piazza una pistola alla testa e accende la telecamera. David non è abbastanza drammatico, secondo il talebano, che gli fa ripetere la scena. Il giornalista non vuole dare l’impressione alla sua famiglia o al suo governo di essere sincero. Cerca di suonare falso. Singhiozza ma non piange. Fissa un punto fisso, come se leggesse un cartellone.
A giugno, Abu Tayyeb ritorna. Nel frattempo brandelli di informazioni sulle trattative sono rilasciati. Sembra sempre che la liberazione sia vicina, che il governo stia per liberare decine di prigionieri talebani e versare un’incredibile riscatto.
Eppure, a giugno, Abu Tayyeb torna e richiede un nuovo video. Pentito del suo precedente video e convinto che Tayyeb stia mentendo, David rifiuta. « Tutto questo è per colpa tua, stai chiedendo milioni di dollari. Sei tu il problema ».
Tutto è fatto per la jihad replica Abu senza smuoversi. Dopo poco torna, precisa che il video non è una possibilità , ma un ordine. Una dozzina di guardie fissano David mentre dice un’altra volta no. Alla fine, David è convinto dai suoi compagni ad accettare.
Questa volta nessuna pistola è puntata alla testa. Il giornalista cerca di consolare la sua famiglia: «Comunque finisca, Kristine e tutta la mia famiglia e i miei amici dovrete vivere in pace. So che avete fatto tutto il possibile per aiutarmi. »