I vecchi pc si riciclano in Africa

In pochi si interrogano, in Occidente, su dove vadano a finire i vecchi computer e gli apparecchi elettronici gettati via perché inutilizzabili, ma una risposta c’è ed è in Africa. Dove centinaia di migliaia di pc vengono raccolti e si accumulano, giorno dopo giorno, in aree di smantellamento e di riciclaggio illegale.

La città di Accra, in Ghana, è la capitale di questo business degli ultimi, che coinvolge migliaia di bambini, impegnati a bruciare a mani nude i rifiuti elettronici per estrarne parti metalliche (principalmente di alluminio e rame) da rivendere per circa due dollari ogni cinque chili.

Un’attività che sta lentamente avvelenando la popolazione della città con gli agenti chimici e tossici che si sprigionano dai roghi e inquinano l’atmosfera e il terreno a tal punto da aver fatto ribattezzare i quartieri più contaminati “Sodoma e Gomorra”.

Il paesaggio è da Apocalisse: il fumo nero che impedisce il respiro circonda le baraccopoli, l’acqua del fiume assomiglia a petrolio e trasporta carcasse di computer fino all’oceano. Sulla riva i roghi vengono continuamente alimentati con materiale ad alto contenuto di plastica, che si scioglie lentamente per lasciarsi dietro solo le componenti metalliche.

I fuochisti più indefessi sono bambini, che vivono grazie agli scarti dell’era di Internet e che spesso ne muoiono anche, sviluppando tumori aggressivi a causa dei fumi cancerogeni che respirano, come accade anche in Nigeria, Vietnam, India, Cina e nelle Filippine. I computer dei ricchi, insomma, stanno avvelenando i figli dei poveri.

Le Nazioni Unite hanno calcolato che i rifiuti elettronici generati ogni anno nel mondo siano circa 50 milioni di tonnellate. Smaltirli correttamente in Europa costerebbe più del doppio di quanto si spende per il loro trasporto navale fino al Ghana e per questo vengono spacciati per materiale di seconda mano “generosamente” donato ai Paesi più poveri, dove in pratica, invece, vengono illegalmente sversati.

La Basel Convention, un trattato internazionale firmato da 172 Paesi nel 1989, vieterebbe lo smaltimento dei computer inutilizzabili nel cosiddetto Terzo Mondo, ma tra i Paesi che non hanno mai ratificato l’accordo figurano, per esempio, gli Stati Uniti, che ogni hanno gettano nell’immondizia ben 40 milioni di computer.

Alcune direttive dell’Unione Europea, come la WEEE (Waste Electrical and Electronic Equipment) e la RoHS (Restriction of Hazardous Substances), hanno seguito la Basel Convention e sono state tradotte in legge dai singoli Paesi, come la Germania, che in teoria persegue lo smaltimento illegale dei computer con l’arresto. Ma, in pratica, sono 100 mila le tonnellate di rifiuti elettronici imbarcate verso sud ogni anno solo dai porti tedeschi e spacciate per attrezzature ancora funzionanti.

Uno studio di Greenpeace dello scorso anno, che ha analizzato campioni di terreno prelevati nelle due principali discariche del Ghana, ha rilevato una concentrazione allarmante di metalli pericolosi come piombo e cadmio, diossine e composti a base di cloro e bromo, presenti in percentuali anche 100 volte superiori alla norma.

Un pericolo non solo per l’ambiente, ma soprattutto per la salute dei baby-lavoratori, che subiscono danni irreversibili al sistema nervoso e a quello respiratorio e molto spesso muoiono di cancro giovanissimi. Purtroppo però nessuno studio ha ancora quantificato e messo nero su bianco le conseguenze che il traffico illegale di rifiuti elettronici sta avendo sulla salute dei piccoli fuochisti e, fino a quando le aziende non elimineranno le sostanze pericolose dai loro prodotti e non si assumeranno la responsabilità di gestire l’intero ciclo di vita di un articolo di consumo, lo stillicidio di giovani vite non avrà fine.

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