NEW DELHI – In India due quarti della popolazione vive con due dollari al giorno o forse poco meno. Sfamare un esercito di oltre un miliardo di persone è un’impresa sempre più difficile con l’inflazione che ha toccato quota +9,44% a giugno.
Il governo è sotto pressione e la Banca centrale indiana, Reserv Bank of India, ha provato a mettere un freno aumentando i tassi di 50 punti base.
C’è da fermare la corsa dei prezzi e se è vero che sul lungo periodo le prospettive non sono quelle di un collasso economico, la cura deve essere fornita a breve: il tasso dei prestiti concessi dalla Rbi alle banche è arrivato all’8%.
La crescita sta rallentando, ma Delhi ostenta di avere in serbo tutte le armi per affrontare la sua sfida numero uno: diventare la terza economia più forte del mondo dopo Cina e Stati Uniti entro il 2030.
Per adesso, stando ai dati del Fondo Monetario Internazionale, è al decimo posto nella lista e i numeri secondo gli analisti non fanno sperare in grandi passi avanti, almeno nei prossimi dodici mesi, visto che all’orizzonte si presenta un anno faticoso da affrontare.
Se l’inflazione è una piaga molto preoccupante nelle economie emergenti, in India è diventata quasi un cancro visti i passi sbagliati del governo, la corruzione dilagante e soprattutto quello che già è stato ribattezzato come lo scandalo più grande della storia indiana: quello della concessione di licenze di telefonia mobile a prezzi stracciati rispetto a quelli di mercato, 2,7 miliardi di dollari incassati dallo Stato invece che 30.
«Il governo accetta di costituire una commissione d’inchiesta congiunta», ha annunciato il primo ministro Manmohan Singh qualche mese fa cercando di dare una magra consolazione all’opposizione che da tre anni vuole riscontri. In realtà la corruzione è come un’erba cattiva difficile da estirpare nel Paese e attraversa gli strati sociali e la politica tutta.
A questi ambienti si intrecciano gli interessi della grande industria indiana: per adesso il Central Bureau of Investigation ha annunciato indagini, ma non è detto che facciano gettare la maschera alla faccia sporca del Paese.
A febbraio la prima testa a cadere è stata quella del ministro delle Telecomunicazioni, Andimuthu Raja, finito in manette, e i primi nomi ad apparire nell’inchiesta sono stati quelli di Swan e Unitech, le due compagnie sospettate di aver ricevuto trattamenti di favore per acquistare frequenze di seconda generazione.
Sono state trascinate in mezzo allo scandalo anche Tata e Anil Ambani, proprietario di Reliance Communication, ma continuano a negare ogni ruolo nella vicenda.
In questo quadro l’inflazione è un colpo basso a un cavallo che vuole correre forte perché finché non crescerà la produttività agricola, spiega Rangarajan al New York Times, capo dell’Economic Advisory Council del premier, sarà impossibile andare avanti spediti.
Anche se il governo cerca di scaricare le colpe ai mercati, “gran parte delle colpe per l’inflazione galoppante sono da attribuire ai comportamenti del governo”, attacca l’economista Rajeev Malik del CLSA Asia Pacific Markets di Singapore.
La scarsità di infrastrutture aggrava la situazione perché gli alimenti sono sempre più difficili da trasportare, il governo non ha soldi per finanziare nuovi progetti e secondo i dati pubblicati da Asia News il 40% della frutta e della verdura marcisce prima di finire sui banchi del mercato.
La medicina propinata dal premier e dai suoi finora è stata quella di aumentare il costo del denaro, ma se i prezzi salgono e l’economia non cresce, il governo è costretto a emanare sussidi continuamente per i più poveri. Così il pantano India diventa sempre più profondo.
