KOCHI, KERALA (INDIA) – L’ultima notizia dall’India è che l’Enrica Lexie, la petroliera sulla quale erano a bordo i due “marò” Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, attirata con l’inganno nelle acque territoriali indiane, dovrà restare nel porto di Kochi. Lo ha deciso l’alta corte del Kerala. Verdetto che non ha sorpreso nessuno, visto che da quando è iniziata questa storia, non c’è stata partita: l’Italia è stata presa a “pallonate” dall’India.
Una serie di “pallonate” che per i due uomini del Battaglione San Marco, presi in consegna dalla polizia indiana e incarcerati dal metà febbraio, si sta rivelando una insopportabile tortura.
La partenza della Enrica Lexie infatti era stata autorizzata dopo il deposito di una fidejussione di 30 milioni di rupie (440.000 euro) e il consenso a far ritornare nave ed equipaggio qualora questo fosse stato necessario negli sviluppi dell’inchiesta. A questa sentenza si erano opposti gli avvocati dei familiari dei due pescatori uccisi il 15 febbraio, Valentine Jelestine and Ajesh Binki.
Solo 24 ore prima c’era stato un nuovo rinvio sulla questione della giurisdizione (processo in India o in Italia) per i due marò italiani che, secondo la corte del Kerala, dovranno restare in custodia giudiziaria per altre due settimane e potranno essere interrogati dalla polizia. Una ”situazione molto difficile”, ha osservato il presidente della repubblica Giorgio Napolitano da Amman, dove si trovava in visita, sottolineando che ”ce la mettiamo tutta”.
Ma ogni dichiarazione delle autorità italiane, da Napolitano al ministro degli Esteri Giulio Terzi, passando per l’inviato “speciale” Staffan de Mistura, ha il sapore amaro dell’impotenza. Proprio de Mistura, sottosegretario agli Esteri, giunto il primo aprile a New Delhi, ha avuto una serie di colloqui con le autorità centrali indiane ed è partito quindi per Trivandrum, capitale del Kerala, dove ha incontrato i responsabili locali e ha visto Latorre e Girone, consegnando loro regali e effetti personali fatti recapitare dai familiari.
Tutto ciò in attesa che si conoscano i risultati della perizia balistica realizzata dalla polizia scientifica del Kerala alcune settimane fa sui proiettili recuperati e sulle armi sequestrate a bordo della nave ed inspiegabilmente ancora mantenuti segreti.
La tesi dell’Italia – ha detto l’ambasciatore Andrea Perugini, direttore dell’Asia per il ministero degli Esteri – insiste sulla immunità funzionale di cui godevano i militari italiani sulla Enrica Lexie”. Noi, ha aggiunto, abbiamo ancora sottolineato con forza che essi ”erano rappresentanti del nostro Stato” e che quindi ”operavano sotto chiara giurisdizione italiana”.
Una tesi che è stata vivacemente contestata dal “chief minister” del Kerala, Oommen Chandy, che ha visibilmente forzato la mano, sostenendo in una intervista che ”il processo per i due imputati italiani si deve assolutamente fare in India”.
Questa presa di posizione è stata corretta però oggi dallo stesso ministro degli Esteri indiano S.M. Krishna che, dopo aver lodato l’operato di Chandy nel bloccare i marò e nel sostenere le ragioni delle famiglie dei due pescatori morti, ha sostenuto che è solo ”la corte che dovrà decidere in quale modo questa impasse può essere risolta”. Ed ha aggiunto che comunque la vicenda ”non deve avere alcun impatto sulle cordiali relazioni esistenti fra India e Italia”.
Piccoli zuccherini per indorare la pillola, amara da mandar giù: i marò resteranno in carcere finché in Kerala non si sarà votato. E le elezioni del Kerala, lo stato più alfabetizzato e anche il più “comunista” dell’India, dove è stato eletto per la prima volta al mondo un marxista, democraticamente. Kerala che però non è l’Umbria: ha 33 milioni di abitanti. Bastano, in questo momento storico, per pesare sul piatto della bilancia più di una nazione intera come l’Italia.