Donne nigeriane in preghiera nella chiesa di San Patrizio a Maiduguri
Nello stesso giorno in cui papa Ratzinger a Roma ha fatto il suo discorso Urbi et Orbi, ci sono stati cristiani perseguitati, intimiditi, uccisi per il solo fatto di credere nel Dio “sbagliato”.
E’ stato un Natale di sangue in Nigeria, dove le tensioni tra cristiani e musulmani sono esplose di nuovo lasciando sul terreno decine di morti e due chiese sono finite nel mirino degli estremisti islamici. Il giorno della vigilia, esplosioni a catena a Jos, nello stato centrale di Plateau, hanno provocato la morte di almeno 32 persone e il ferimento di altre 74.
Altre sei persone sono invece rimaste uccise durante la messa di Natale in attacchi compiuti da presunti estremisti islamici contro due chiese a Maiduguri, nel nord-est del Paese. Una delle due chiese e’ stata data alle fiamme e tra le sei vittime c’e’ anche un sacerdote. Dopo due giorni di terrore, oggi sono scoppiati nuovi scontri tra gruppi armati di cristiani e musulmani nei pressi della citta’ di Jos.
Per adesso il bilancio e’ limitato ad un morto, come riferito dalla polizia, mentre testimoni raccontano di aver visto decine di edifici dati alle fiamme e decine di feriti coperti di sangue trasportati d’urgenza negli ospedali della zona. Il bilancio totale dei morti dei tre giorni di sangue e’ comunque solo provvisorio.
La Croce Rossa ha fatto sapere infatti di non essere in grado di indicare il numero preciso delle vittime, ma ha fatto salire a 95 i feriti gravi ricoverati negli ospedali a seguito delle esplosioni della vigilia di Natale a Jos, nella cosiddetta ‘Middle Belt’, gia’ teatro di violenze interreligiose ed interetniche tra cristiani del sud e musulmani del nord che hanno causato centinaia di morti dall’inizio dell’anno.
Gli attacchi contro le chiese nel Maiduguri, secondo quanto riferito dalla polizia locale, sarebbero invece opera del gruppo islamico Boko Haram, che lo scorso anno si e’ reso responsabile di vari atti di violenza religiosa nel nord della Nigeria ed e’ accusato di essere dietro ad una serie di attacchi avvenuti negli ultimi mesi.
Carneficine e scontri preoccupano il governo e il presidente Goodluck Jonathan alla vigilia delle primarie del partito al potere (il Partito Democratico del Popolo) del prossimo 13 gennaio per le elezioni presidenziali. Il patto che regge il partito vuole che la leadership ruoti ogni due mandati tra i musulmani del nord e i cristiani del sud. Jonathan e’ un uomo del sud cristiano, arrivato quest’anno al potere dopo la morte – durante il primo mandato – del presidente Umaru Yar’Adua (uomo del nord).
Ora alcune fazioni del nord all’interno del partito contestano il diritto di Jonathan a ripresentarsi e hanno candidato un loro esponente, l’ex vice presidente Atiku Abubakar, per le primarie di gennaio. La paura di molti e’ che le tensioni finiscano per aumentare ancora nelle prossime settimane in vista del voto, alimentate anche dai politici delle opposte fazioni. Tensioni radicate peraltro in decenni di risentimenti che hanno motivi molte volte ben piu’ ‘materiali’ della religione.
Se infatti cristiani, musulmani e animisti convivono fianco a fianco in pace in molte citta’ nigeriane, nella Middle Belt si scontrano gli interessi per il controllo delle fertili terre della zona tra i gruppi indigeni di cristiani e animisti da una parte e i pastori nomadi musulmani di etnia Faluni del nord dall’altra.
Fortemente preoccupato per i ”gravi episodi di intolleranza religiosa” il ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha espresso ”ferma condanna” per le violenze. La Farnesina convochera’ a breve l’ambasciatore nigeriano a Roma per esortare le autorita’ di Abuja ad agire per frenare le violenze. Sempre per le prossime ore, e per gli stessi motivi, e’ previsto anche un passo dell’ambasciatore italiano in Nigeria.
In Iraq invece i cristiani hanno dovuto celebrare il Natale in chiese blindate. Ha funzionato il piano disposto dal nuovo governo iracheno ”per assicurare la protezione speciale delle chiese” in Iraq durante il Natale: i fedeli cristiani, contrariamente alle previsioni, seppur in tono minore hanno partecipato in numero significativo alle messe natalizie, anche nella cattedrale siro-cattolica ‘Nostra Signora del Perpetuo Soccorso’ a Baghdad, teatro il 31 ottobre di un assalto di al Qaida in cui sono morte oltre 50 persone.
I posti di blocco, le pattuglie armate e i muri di sbarramento in cemento armato disposti da diversi giorni attorno alle chiese e nelle aree dove e’ concentrata la presenza di cristiani hanno convinto i fedeli a celebrare il Natale assistendo alla messa tradizionale, senza tenere troppo in considerazione le ripetute minacce di al Qaida.
Dopo la strage del 31 ottobre, il ramo iracheno dell’ internazionale del terrore aveva infatti affermato che tutti i cristiani sono ”un obiettivo legittimo per i mujaheddin” e ancora giorni fa in una e-mail inviata all’arcivescovo caldeo di Kirkuk aveva rinnovato in maniera esplicita le minacce. Tanto che, a sua volta, l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, monsignor Louis Sako, aveva annunciato che quest’anno non ci sarebbero state messe nella notte di Natale ne’ a Baghdad, ne’ a Mossul, ne’ a Kirkuk.
”Per questioni di sicurezza le chiese non avranno addobbi e decorazioni e le messe si celebreranno solo con la luce del giorno e con la massima sobrieta”’, aveva detto. Nella cattedrale siro-cattolica della capitale, che ancora ha sui muri i fori dei proiettili sparati durante la carneficina di ottobre, si sono invece presentati circa 300 fedeli, che hanno assistito alla messa su sedie di plastica, poiche’ i banchi in legno sono andati praticamente distrutti.
Anche in altre chiese si e’ registrato un considerevole afflusso di fedeli, in particolare nel Nord del Paese, nella regione curda, considerata piu’ sicura, dove si sono rifuggiate nelle ultime settimane migliaia di famiglie cristiane da tutto l’Iraq.
Una partecipazione che avra’ certo consolato Papa Benedetto XVI che nel suo messaggio ‘Urbi et Orbi’ nel giorno di Natale aveva espresso la speranza che le celebrazioni natalizie potessero portare forza ai fedeli in Iraq e in tutto il Medio Oriente, dove il Vaticano teme che le violenze interconfessionali possano alimentare ulteriormente l’esodo di cristiani ormai divenuto costante.
Negli anni ’90, la comunita’ cristiana in Iraq contava circa un milione di persone. Ora, secondo varie stime, sono meno della meta’. A Baghdad, da 450 mila sono scesi a 150 mila.