
Isis colpisce in Afghanistan: i nemici dei talebani dietro l'attentato kamikaze all'aeroporto di Kabul (foto Ansa)
L’intelligence occidentale lo aveva annunciato e così è stato: l’Isis-K, come viene denominata la costola asiatica dell’Isis attivo nell’antica provincia di Khorasan (territorio che va dall’Iran all’Afghanistan al Pakistan), ha colpito con un attentato kamikaze l‘aeroporto di Kabul teatro dell’evacuazione delle forze militari occidentali e di tanti civili afghani.
Eppure fino allo scorso anno si riteneva che l’Isis-K, protagonista di decine di scontri armati con gli ex governativi e i talebani e responsabile di un numero impressionante di omicidi mirati, fosse stato disarticolato, potendo oramai contare solo su una manciata di operativi.
Nel maggio del 2020 le forze afghane catturano il capo dell’organizzazione, Zia-Ul-Haq, noto anche come Abu Omar Khorasani.
La nascita dell’Isis-K in Afghanistan
Dal 2015, anno di fondazione del gruppo nato dalla fusione tra una costola del Ttp pachistano e alcuni fuoriusciti talebani, l’organizzazione ha perso ben sei leader, tutti uccisi o catturati, e oltre 550 ‘ufficiali’.
Insomma sembrava un capitolo chiuso nel processo di orientalizzazione dell’Isis iniziato dopo le cocenti sconfitte in Medio Oriente e Nord Africa, che hanno spinto l’organizzazione a ricostituirsi tra le montagne afghane piuttosto che in Indonesia e nelle Filippine.
Un fenomeno che ha determinato non solo l’arrivo di decine di reduci nelle province remote dell’Afghanistan e del Pakistan, ma anche un afflusso costante di migliaia e migliaia di dollari che ha garantito alla costola del Khorasan la capacità di insinuarsi tra le maglie del conflitto afghano e di fare proseliti man mano che si delineava l’accordo di Doha tra i talebani, bollati come traditori, e gli Usa.
Isis in Afghanistan e il ruolo di Shabab al-Muhajir
Poi è arrivato lo ‘straniero’: lo scorso anno l’Isis, attraverso un organo di propaganda nato per l’occasione, radio Voice of the Khorasan, nomina leader tal Shabab al-Muhajir, il primo capo non afghano o pachistano, come indicato dal nome. Sarebbe nato in Siria o Iraq e avrebbe un passato da combattente tra le file di al Qaeda proprio in Afghanistan e Pakistan.
Il profilo delinea una personalità senza scrupoli, un veterano esperto soprattutto nei combattimenti in aree urbane. E proprio a lui sarebbe da imputare la resurrezione dell‘Isis.
Muhajir esordisce con un attacco tragico quanto spettacolare alla prigione di Jalabad, un assalto che dura oltre 20 ore e porta alla liberazione di centinaia di prigionieri, in gran parte jihadisti, ma anche talebani.
La strage di studentesse Hazare
Ma il gruppo non tarda a svelare la sua natura più feroce e sanguinaria che si abbatte su tutti gli avversari, dai soldati ai talebani, dagli sciiti alle minoranze: lo scorso 8 maggio vengono massacrate oltre 85 studentesse, colpevoli solo di appartenere all’etnia Hazara.
I jihadisti indisturbati attaccano con autobomba e Ied la scuola Sayed al-Shuhada a Kabul, dimostrando di essere perfettamente in grado di colpire la capitale. Fino al tragico epilogo di oggi.