ROMA – Israele: chiuso il fronte sud dopo la tregua senza scadenza firmata con la Palestina grazie alla mediazione dell’Egitto, si apre un nuovo fronte a nord, dopo che i ribelli siriani hanno conquistato le postazioni al confine con Israele, nelle alture del Golan già teatro di guerre e conflitti nei decenni passati.
Nel pomeriggio del 26 agosto, mentre l’esercito israeliano riceveva l’ordine di “cessate il fuoco” nella striscia di Gaza, i primi colpi di mortaio sono arrivati nei villaggi al confine con la Siria. Vengono dai ribelli siriani, che hanno conquistato il valico di Quneitra dopo una lunga battaglia con l’esercito di Bashar al-Assad. Si tratta, secondo fonti siriane, della formazione islamista di Jabhat al Nusra o Fronte al-Nusra, collegata ad Al Qaeda, che per due anni è stata la capofila delle fazioni fondamentaliste anti-Assad, prima di venire scalzata dall’Isis.
L’unica notizia buona per Israele è quindi che non ha l’Isis ai suoi confini, ma una formazione fondamentalista non certo amica. Nel dubbio, l’artiglieria di Tel Aviv nel Golan ha aperto il fuoco contro le postazioni siriane, dopo che un ufficiale dell’Idf (Israeli Defence Force) è stato ferito da un colpo di mortaio arrivato dalla Siria
Fonti siriane dicono che da stamani (mercoledì 27 agosto) all’alba è in corso una vasta offensiva di diversi gruppi di miliziani anti-regime lungo tutta la linea del cessate il fuoco del 1974 tra Siria e Israele. Secondo le fonti, agli attacchi contro le postazioni del regime nei pressi di Qunaytra, Rawadi e Tel Kurum partecipano “gruppi dell’Esercito libero siriano e di milizie islamiche”. Le fonti escludono invece la presenza di jihadisti dello Stato islamico (Isis) nella zona siriana delle Alture del Golan.
Resta sullo sfondo il faticoso tentativo di Obama di interporsi nel conflitto in corso in Siria ed Iraq, senza incendiare il Medio Oriente proprio ora che la guerra a Gaza sembra arrivata alla fine.
In una partita contro lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante che è anche diplomatica oltre che militare, Barack Obama ha iniziato a mobilitare gli alleati degli Usa per coinvolgerli in una coalizione internazionale, nella prospettiva di una campagna di raid aerei in Siria contro postazioni e leader dell’Isis.
E secondo quanto hanno riferito alti funzionari dell’ amministrazione citati in forma anonima dal New York Times, la Casa Bianca si aspetta che all’appello rispondano in particolare Gran Bretagna, Australia, Giordania, Qatar, Arabia Saudita Turchia e Emirati Arabi Uniti.
In particolare, secondo le fonti, la Casa Bianca prevede che Gran Bretagna e Australia siano disponibili a svolgere un ruolo attivo nella campagna aerea, e che la Turchia, che dispone di basi aeree da cui potrebbero partire i raid, rafforzi i controlli alla sua frontiera per intercettare eventuali jihadisti europei. Dalla Giordania dovrebbero arrivare invece importanti informazioni di intelligence, mentre dall’Arabia Saudita, Qatar e Emirati arabi sono attesi finanziamenti.
Allo stesso tempo, l’amministrazione Usa si prepara ad una azione umanitaria con l’invio di aiuti alla popolazione turcomanna della città  irachena di Amirli, assediata da due mesi dalle forze dell’Isis.  Anche se l’anno scorso in occasione dei minacciati raid aerei contro il regime di Bashar al Assad, la Gran Bretagna all’ultimo momento si è tirata indietro, il sostegno del governo Cameron sembra pressoché certo. Già una decina di giorni fa, ancora prima della decapitazione del giornalista americano James Foley, il premier britannico aveva sottolineato che il suo Paese si è impegnato ad aiutare le popolazioni minacciate dall’Isis in Iraq. “Ma una risposta umanitaria non basta”, ha affermato Cameron in un lungo articolo sul Sunday Telegraph.
Per quanto riguarda i Paesi della regione la situazione è invece più complicata. “Uno dei problemi è che alcuni Paesi hanno clienti diversi in Siria”, ha sottolineando l’ex ambasciatore Usa a Damasco Robert Ford parlando con il Nyt, che a sua volta sottolinea ad esempio le ampie divergenze tra Arabia Saudita e Qatar. Allo stesso tempo, il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, ha sottolineato in una nota come sette Paesi occidentali – Albania, Croazia, Danimarca, Italia, Francia e Gran Bretagna – abbiano già risposto alla crisi impegnandosi ad inviare armi ed equipaggiamenti alle forze curde che nel nord dell’Iraq combattono contro l’Isis.