da: Corriere della Sera
«Noi esigiamo l’ assoluto divieto dell’ arma atomica, arma di intimidazione e di sterminio in massa delle popolazioni». Così cominciava il famoso appello pacifista di Stoccolma del marzo 1950 contro gli ordigni nucleari: parole nobili, apparentemente improntate a un vigoroso spirito umanitario. Peccato che a scriverle di suo pugno fosse stato un uomo che con lo sterminio di massa aveva una notevole dimestichezza, in quanto più volte vi aveva fatto ricorso senza la minima pietà: Iosif Stalin. È forse la novità più rilevante contenuta nella nuova edizione, in uscita il 7 giugno, del libro di Elena Aga Rossi e Victor Zaslavsky Togliatti e Stalin (Il Mulino, pagine 407, 25), un’ analisi attenta dei rapporti tra il Pci e il Cremlino negli anni del dopoguerra, ora molto ampliata, anche in prospettiva europea, rispetto alla versione di dieci anni fa. L’ esame di ulteriori documenti tratti dagli archivi di Mosca, parzialmente aperti dopo il crollo dell’ Urss, porta gli autori a due conclusioni piuttosto polemiche verso la storiografia marxista.