ROMA, 16 SET – Secondo il corrispondente di Al Jazira che si trova appena fuori Sirte, gli insorti controllano interi quartieri della città costiera, dove sono in corso scontri. Da alcune zone della città, ha spiegato il cronista, si levano colonne di fumo. Le forze lealiste, ha spiegato, non sembrano volere in alcun modo né arrendersi né negoziare.
”I rivoluzionari controllano già la metà di Sirte e se Dio vuole oggi prenderemo l’altra metà”: lo ha dichiarato Ibrahim Sweyib, un combattente del Cnt. Oggi diverse decine di pick-up armati e tre carri sono entrati in città a rinforzo delle truppe di insorti entrate ieri per la prima volta nella roccaforte costiera di Gheddafi.
Le forze armate del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) a Misurata hanno reso noto di aver subito pesanti perdite nella battaglia per il controllo di Sirte con 11 morti e 34 feriti. ”Primi dati: 11 martiri e 34 feriti”, sottolinea il Cnt di Misurata, città ribelle situata a nord-ovest di Sirte, in un comunicato che cita anche la cattura di 40 militari lealisti.
Secondo il Cnt di Misurata, i suoi combattenti hanno lanciato l’assalto su tre fronti, ieri, contro Sirte, uno degli ultimi bastioni di Gheddafi, situata a 360 chilometri a est di Tripoli. ”C’e’ ancora resistenza ma i nostri combattenti possono vincerla” ha dichiarato Fathi Bachaga, uno dei portavoce militari.
La ritirata da Bani Walid. Ben diverso il copione della giornata a Bani Walid, altra roccaforte ancora in mano ai pro-Gheddafi a circa 150 chilometri a sud di Tripoli. Dopo le lunghe esitazioni e i negoziati infruttuosi delle scorse settimane per cercare di entrare pacificamente, stamattina anche la base della tribù Warfalla è stata attaccata. Si è combattuto per tutta la giornata e anche da qui, nel corso delle ore, si sono diffuse voci che almeno tre quartieri fossero sotto controllo. Poi, al tramonto, la svolta, con le forze del Cnt costrette alla fuga dai razzi lanciati dai lealisti. Una ritirata tattica, assicurano: ”Dobbiamo riorganizzare le truppe e rifornirci di munizioni. Aspettiamo ordini per tornare di nuovo li”, spiega uno degli insorti.
Erdogan a Tripoli. Intanto, mentre le armi sono tornate a farsi sentire dopo settimane di silenzio, continua la corsa a riconoscere il governo della nuova Libia e ad accreditarsi con i nuovi leader del Paese. Dopo il bagno di folla di ieri di Sarkozy e Cameron, oggi è stato il turno del premier turco Recep Tayyip Erdogan. ”Sono felice di essere stato testimone della vittoria e dell’avvento della democrazia in Libia”, ha detto di fronte a una marea di persone riunite in piazza a Tripoli.
Il riconoscimento dell’Onu. A New York, invece, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto il Cnt come legittimo rappresentante del Paese, aprendo la strada all’intervento del premier Mahmud Jibril, la prossima settimana, alla sessione plenaria al Palazzo di Vetro. Martedì, a margine dell’assemblea, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama incontrerà il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil. All’appuntamento dell’Onu, con ogni probabilità, ci si arriverà con il nuovo governo di transizione, che sarà annunciato domenica, secondo quanto riferiscono esponenti del Cnt. I componenti di questo governo, secondo le prime indiscrezioni, saranno 30, rappresenteranno tutte le famiglie politiche e di tutte le regioni e includeranno anche donne.
Gheddafi contro Sarkozy e Cameron. Oggi, 16 settembre, il portavoce di Muammar Gheddafi, Moussa Ibrahim, ha denunciato la visita ieri a Tripoli e Bengasi del presidente francese Nicolas Sarkozy e del premier britannico David Cameron, accusandoli di voler ”trasformare la Libia in feudo dell’Occidente”. ”La Francia cerca di rafforzare o suoi agenti in Libia e la Gran Bretagna di favorire figure politiche che le sono alleate” ha spiegato, sostenendo che ”la visita inaugura un progetto di colonizzazione in Libia e costituisce, l’annuncio ufficiale dell’inizio della sua applicazione”. Moussa Ibrahim parlava per telefono alla catena Al Rai di base in Siria, che diffonde regolarmente i discorsi di Gheddafi.
I raid italiani in Libia. Sono state 39, riferisce lo Stato maggiore della Difesa, le missioni degli aerei italiani effettuate la settimana scorsa nell’ambito dell’operazione della nato ‘Unified Protector’ in Libia. I velivoli impiegati sono stati Tornado, F16 Falcon, AMX, gli aerorifornitori KC130J e KC767A e un velivolo senza pilota Predator B, tutti in organico all’Aeronautica Militare. Il dispositivo della Marina Militare impegnato nell’operazione di embargo navale è assicurato da nave San Giusto e da nave Bersagliere. Per quanto riguarda l’emergenza immigrazione, in applicazione dell’intesa italo-tunisina, nave Sirio (che sara’ sostituita il 19 settembre domani da nave Borsini), nave Driade (che il 20 settembre passerà il testimone a nave Chimera) e un aereo Atlantic continuano la sorveglianza in prossimità delle acque tunisine.
L’Eni in Libia. Sempre oggi Eni ha firmato al forum degli investimenti di Soci un nuovo accordo con Gazprom per cederle il 50% della sua quota (33%) nel maxi giacimento libico Elephant, per un valore di circa 160 milioni di dollari. L’accordo era stato congelato in seguito allo scoppio della rivoluzione anti Gheddafi. ”Non è una grande transazione ma è simbolicamente importante perché significa che Gazprom entra in Libia”, ha commentato all’ANSA l’ad del Cane a sei zampe Paolo Scaroni.
Scaroni ha ribadito da Soci che spera nel riavvio del gasdotto Greenstream – che collega la Libia alla Sicilia – per il 15 di ottobre, ”che ho indicato come data simbolica dell’inizio del riscaldamento nelle case italiane”, ha spiegato. ”Abbiamo una fretta indiavolata dettata non tanto da ragioni economiche quanto dal fatto che la sicurezza energetica dell’Italia passa anche attraverso il Greenstream e attualmente vediamo nuvoloni neri in tante parti, a partire dalla Tunisia ma anche per le ricorrenti discussioni tra ucraini e russi”, ha detto all’ANSA Scaroni dopo la firma dell’accordo a Soci per il South Stream. ”Affrontare l’inverno senza il Greenstream è una cosa che mi preoccupa”, ha aggiunto, garantendo che ”la struttura dell’Eni sta lavorando con tutte le sue forze in Libia, in particolare Claudio De Scalzi, direttore generale della divisione”. Il problema, ha precisato, ”è quello della sicurezza, in un Paese non ancora pacificato, dove la quantita’ delle armi che girano è ancora incredibile”. Per la riprese della forniture di petrolio, Scaroni prevede tempi più lunghi, sempre per motivi di sicurezza.
