ROMA – “L’unità di crisi della Farnesina è impossibile da contattare, l’ambasciata italiana a Tripoli non sa cosa fare e sostanzialmente ci dice di arrangiarci”: è il racconto angosciato fatto al Corriere della Sera da Giuseppe Ascani, direttore di un’azienda italiana che lavora in ambito petrolifero, da due anni a Tripoli.
Ascani sta cercando di tornare in Italia. Avrebbe un volo prenotato per mercoledì mattina, ma non sa se all’aeroporto riuscirà ad arrivare indenne. “La situazione va sempre più peggiorando, molte zone della città sono in mano ai mercenari assoldati dal regime e non sono affatto sicure. Abbiamo visto immagini di persone con i corpi dilaniati, senza gambe e senza braccia. Tripoli è letteralmente in fiamme. Non c’è modo di sapere se il tragitto verso l’aeroporto possa essere percorso con tranquillità. Sentendo certe dichiarazioni secondo cui tutto è a posto e tutto organizzato mi sono sentito ribollire il sangue”.
Il volo sarebbe all’alba, ma “all’aeroporto – spiega il tecnico al Corriere- ci dovrò però andare nel pomeriggio di oggi e vi trascorrerò in qualche modo la notte. Il personale della mia azienda, che mi sta supportando in tutto, si è offerto di accompagnarmi, mettendo a rischio anche la propria vita. Viaggiare nelle ore di luce sarà comunque pericoloso visto che le strade sono insicure e la situazine cambia di ora in ora, tra l’altro ho avuto notizia di altri raid aerei a Tripoli e Bengasi, ma non lo sarà mai come mettersi in strada di notte a bordo di un automezzo privato”.
Ascani ha saputo che altre ambasciate hanno organizzato diversi punti di raccolta nella città per portare i cittadini fino all’aeroporto. “A me invece è stato detto che avrei dovuto cavarmela da solo”.
Ora Ascani spera che la sua testimonianza possa servire come stimolo affinché l’ambasciata non lasci da soli altri italiani. “E voglio che sia anche una denuncia: se mi sarà successo qualcosa durante il trasferimento dalla mia abitazione all’aeroporto, sarà ben chiaro di chi sarà stata la responsabilità”.
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