ROMA – Misurata è ancora sotto i bombardamenti delle truppe verdi. La ritirata annunciata ieri , 23 aprile, dall’esercito di Gheddafi non ha riportato la pace nella città simbolo della rivolta, sotto assedio da settimane, che continua a contare le sue vittime: 36 da ieri, 8 solo oggi, e centinaia di feriti.
Dall’alba razzi Grad sono stati lanciati a raffica sulla città e, secondo alcuni testimoni, al fianco dei governativi, sono comparsi anche combattenti tribali e civili.
Nessuna ritirata, dunque. E neppure una ”sospensione temporanea” dei combattimenti, come si è affrettato a precisare il ministro degli Esteri libico Khaled Kaïm, dopo l’annuncio di ieri su passaggio del testimone tra le truppe e le tribù. E come hanno confermato anche i ribelli: ”La situazione è molto pericolosa”, ha detto un portavoce degli insorti, spiegando che i razzi prendono di mira soprattutto ”il centro della città e le zone residenziali”.
Le bombe delle forze di Gheddafi, sempre secondo testimoni, hanno raggiunto anche zone vicine al posto di frontiera di Dehiba, tra Tunisia e Libia, il principale punto di passaggio tra i due paesi che era stato occupato dagli insorti. E se il papa, nel messaggio Urbi et Orbi al termine della messa di Pasqua, si è augurato che in Libia la diplomazia e il dialogo prendano il posto delle armi, il senatore americano John MacCain, ha esortato gli Stati Uniti ad intensificare i bombardamenti aerei sulla Libia sostenendo che lo stallo militare prolungato favorirebbe Al Qaida. ”Se preoccupa il rischio che Al Qaida possa prendere parte al conflitto, non c’è nulla di cui possa beneficiare di più che una situazione di stallo”, ha detto MacCain, che nel fine settimana è stato a Bengasi.
Una visita nella città roccaforte dei ribelli è stata annunciata anche dal Ministro degli Esteri Franco Frattini, che, ha assicurato, andrà ”a breve” a Bengasi per ”inaugurare il consolato italiano”. Intanto il leader del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, ha riferito che il Kuwait ha stanziato 177 milioni di dollari per aiutare i ribelli libici.