BENGASI – Con lo scoccare dei due mesi dall’inizio della rivolta libica, che il 17 febbraio scorso faceva registrare i primi morti tra i manifestanti scesi in strada per protestare contro il regime di Muammar Gheddafi, la guerra di trincea tra le dune del deserto sembra essere arrivata a un punto di svolta. Le forze militari del rais, notoriamente superiori a quelle dei ribelli sia in termini di armamento che di addestramento, sono intrappolate in una battaglia casa per casa a Misurata, unico bastione degli insorti in Tripolitania, mentre piu’ a est, verso gli impianti petroliferi di Ras Lanuf e Marsa el Brega sono costrette a subire l’avanzata degli anti-governativi, nella quale i raid Nato hanno avuto e avranno nei prossimi giorni un ruolo decisivo.
Anche oggi, sulla citta’ martire di Misurata sono piovuti a decine i razzi Grad e i colpi di artiglieria targati Tripoli. Nelle vie del centro, dove e’ difficile individuare una vera e propria linea del fronte, sono divampati i combattimenti che hanno causato la morte di tre persone e il ferimento di 25, riferiscono i ribelli. Il capo del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, ha lanciato un nuovo appello affinche’ ”la Nato e specialmente l’Italia incrementino gli attacchi … Misurata resiste ancora oggi e aspetta un ruolo ancora piu’ attivo da parte delle forze della coalizione, in particolare dell’Italia e dei suoi amici. Aumentino gli attacchi”. Per il Cnt comunque, la soluzione ”va trovata sul terreno”, e i ribelli dicono di aspettare gli addestratori richiesti a Roma e a Parigi. ”Ancora non sono arrivati”, afferma Jalil. E che sia quella di ”terra” la strategia dei ribelli lo si osserva nelle strade di Bengasi, dove oramai anche in pieno giorno sfilano convogli carichi di militari, equipaggiamenti, viveri, diretti via mare a Misurata. ”E’ un onore andare a combattere li”’, spiega una fonte vicina ai ribelli, confermando che e’ cresciuto il numero di volontari che si imbarcano per dare battaglia alle forze del rais.
Gheddafi, dal canto suo, se da una parte tiene sotto scacco la popolazione senza lanciare un vero e proprio attacco finale – visto anche l’alto numero di ribelli affluiti nelle ultime ore in citta’, annidati tra le macerie e pronti a colpire – dall’altra ha consentito alcune operazioni umanitarie, come quella condotta dalla nave dell’organizzazione internazionale dei migranti (Oim), la Ionan Spirit. Il battello e’ rientrato oggi nel porto di Bengasi, con a bordo quasi 1.200 lavoratori stranieri. A sud intanto, a 160 km dalla ‘capitale dei ribelli’, Ajdabiya e’ una ”pratica archiviata”, dice un militare: le forze di Gheddafi sono state costrette ad arretrare ulteriormente a ovest, a circa 20-30 km da Marsa el Brega. I soldati fedeli al ‘libro verde’ di Gheddafi hanno smesso di martellare l’area con l’artiglieria, mentre continuano i lanci di razzi Grad, che oggi hanno lasciato sul campo sei morti e 20 feriti tra i ribelli.
L’obiettivo Brega e’ non soltanto strategico: ci sono i pozzi, gli impianti, si aprirebbe la strada per un’offensiva verso il nodo nevralgico di Ras Lanuf. Con la messa in sicurezza di Ajdabiya, due mesi dopo l’inizio della rivolta, i ribelli dicono di avere la certezza di aver conquistato una volta per tutte la Cirenaica e sventato per sempre il rischio di una avanzata di Gheddafi verso Bengasi, che solo i raid Nato hanno impedito di trasformare in un bagno di sangue che probabilmente avrebbe messo la parola fine al tentativo di rovesciare Gheddafi. Due mesi dopo, i ribelli sono ancora li’, e quello che era inimmaginabile fino a poco tempo fa, la cacciata del rais, a Bengasi sono convinti che sia a portata di mano.