ROMA – Nato non ha intenzione di chiedere scusa ai ribelli per gli incidenti che a Brega hanno provocato la morte di diversi insorti sotto il ‘fuoco amico’ dei raid aerei dell’Alleanza. Lo ha detto l’ammiraglio Russell Harding, vice comandante dell’operazione Unified Protector condotta dalla Nato in Libia, in un incontro stampa tra Bruxelles e Napoli.
”Non ci saranno scuse”, ha detto Harding, rilevando che sul terreno la situazione ”è molto fluida”. ”Sembra che due nostri attacchi aerei di ieri abbiano potuto provocare la morte di un certo numero di membri del Cnt (il consiglio nazionale di transizione), che operava con carri armati”, ha riferito. ”Fino a ieri, non eravamo stati informati che le forze del Cnt facessero uso di carri armati”, ha sottolineato l’alto ufficiale, giustificando l’errore. Gli alleati hanno prove documentali che quando colonne di carri armati si avvicinano ad aree abitate, ”rappresentano un pericolo per la popolazione”.
Nonostante i ripetuti incidenti che hanno causato vittime da ”fuoco amico”, secondo Harding, ”non spetta alla Nato” migliorare il livello delle comunicazioni tra gli alleati e le forze dei ribelli. C’è comunque preoccupazione per la maggior difficoltà nel condurre raid aerei senza provocare vittime tra civili, dovuta al cambio di tattica delle forze pro-Gheddafi. ”Nascondono carri armati in veicoli civili e usano persone come scudi umani. Ciò rende molto difficile colpire target senza provocare vittime civili”, ha riconosciuto la portavoce Oana Lungescu.
L’ammiraglio ha poi aggiunto che la situazione in Libia sul fronte militare ”è fluida”, non è una situazione di stallo. ”Non c’è impasse” in Libia, ha rilevato da parte sua la portavoce dell’Alleanza Oana Lungescu. ”Al contrario, la comunità internazionale sta avanzando per trovare una soluzione politica”.
L’Alleanza continua le proprie operazioni militari, ma ”sappiamo bene che in Libia non può esserci una soluzione solo militare”, ha proseguito la portavoce, ricordando che mercoledì in Qatar si terrà la seconda riunione del gruppo di contatto sulla Libia alla quale parteciperà anche il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen.
”Non si può parlare di stallo: la comunità internazionale è unita e determinata a chiedere una soluzione politica che potra’ esserci solo con la cessazione del fuoco e l’immediata transizione verso la democrazia”, ha detto Lungescu.
Riferendosi all’intervento del generale Ham, il contrammiraglio Harding ha riferito che negli ultimi due giorni tra le citta’ di Brega e di Ajdibiya ci sono stati continui andirivieni tra i ribelli e le truppe pro-Gheddafi. ”Se qualcuno vuole definire questo come una impasse, puo’ farlo, ma cio’ che posso dire e’ che la situazione e’ fluida, e lo e’ in un’area relativamente piccola”.
Ieri sera, 7 aprile, il generale Carter Ham, comandante dello US Africa Command, parlando al Congresso Usa, ha detto che in Libia ”si è delineata una situazione di stallo” tra le forze dei ribelli e quelle pro-Gheddafi.
Sul fronte interno, le forze fedeli al leader libico Muammar Gheddafi stanno avanzando in direzione della zona est di Misurata. Lo riferiscono fonti degli insorti precisando che ci sono stati diversi scontri nelle strade della città i cui abitanti stanno cominciando a fuggire.
“Hanno cercato di entrare nella città dalla parte orientale, da una zona molto popolosa che si chiama Eqseer. Gli insorti li hanno affrontati e gli scontri proseguono”, ha detto all’agenzia Reuters il portavoce dei ribelli Hassan al Misrati.
Gli insorti libici controllano ancora la città di Ajdabiya, nell’est del paese, all’indomani della fuga di migliaia di civili e di ribelli in seguito a voci su un imminente attacco delle truppe fedeli a Muammar Gheddafi. Lo afferma un giornalista della France Presse secondo il quale ieri, 7 aprile, vi è stato un vero proprio fuggi fuggi dovuto al panico causato da attacchi con missili Grad.
I ribelli hanno creduto che fosse imminente l’arrivo alle porte della città dell’esercito regolare e hanno preferito ripiegare verso il Nord in direzione di Bengasi. Oggi la città è semideserta. La linea del fronte, affermano ribelli e testimoni, si situerebbe in qualche punto tra Ajdabiya e il sito petrolifero di Brega, 80 km più a ovest, dove da una settimana si verificano i combattimenti più violenti. Ieri nella stessa zona un bombardamento di aerei Nato ha causato la morte di almeno quattro persone, due insorti e due medici.
La commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani nella crisi in Libia partirà domenica 10 aprile. Lo ha annunciato oggi a Ginevra l’egiziano Cherif Bassiouni, presidente della commissione d’inchiesta istituita a fine febbraio da una risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani. La squadra di esperti intende recarsi ”nell’est e nell’ovest del Paese” così come in Tunisia ed Egitto, ha detto Bassiouni.
Le date esatte della missione non sono state rese note, ma i membri della commissione partiranno domenica e torneranno entro la fine del mese, ha detto Bassiouni in una conferenza stampa. ”Un’inchiesta deve essere giusta, imparziale e indipendente. E questo è quello che intendiamo fare”, ha detto Bassiouni.
La squadra di esperti intende avere accesso ad ogni possibile fonte di informazione. La Commissione internazionale di inchiesta ha ricevuto per mandato di indagare tutte le presunte violazioni dei diritti umani in Libia, di stabilirne i fatti e le circostanze e se possibile identificare i responsabili. La commissione dovrà presentare un rapporto in occasione della prossima sessione del Consiglio in giugno.
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