TRIPOLI – Ingrossano ogni giorno di più le file del partito anti-Gheddafi, sono musulmani, fedeli, tolleranti e non hanno niente a che fare contro la guerra santa invocata da al Qaeda. Sono i ribelli libici, quelli che da Misurata a Bengasi, hanno deciso di fare opposizione al rais aggrappato al potere.
«Non ho mai detto di voler instaurare un califfato islamico a Derna. Non ho rapporti con al-Qaeda e qui non ci sono jihadisti stranieri. Sono il responsabile per la difesa della città. Sarei il primo a saperlo. È solo l’ultima carta in mano a Gheddafi per spaventare l’occidente», racconta al Sole 24 Ore Abdul Hakim al-Hasadi, uno dei leader.
L’obiettivo dei ribelli non è la lotta armata o il terrorismo e nemmeno un califfato o un emirato a parte. Per loro, che sono un gruppo di recente formazione, sarebbe difficile organizzarsi così e non è nemmeno nelle loro intenzioni.
Il viceministro degli Esteri Khaled Kaim ha parlato di uno scenario «alla talebana», di un «emirato diretto da Abdel karim al-Hasadi, un ex detenuto di Guantanamo». Gheddafi parlando in tv gli ha dato spago qualche giorno dopo, quando il seme della rivolta era già nato: «All’inizio della rivolta un ex detenuto di Guantanamo si è autoproclamato emiro di Derna e ha cominciato a giustiziare ogni giorno delle persone».
I ribelli hanno un’altra versione, molto diversa da quella di cellula islamica e interventista. Loro sono islamici sì, ma tolleranti e non hanno rapporti con al Qaeda, anche perché la base in versione africana ha la sua sede in Algeria e non sembra che ci siano stati movimenti sospetti tra i due Paesi.
«Non sono mai stato a Guantanamo. Sono stato catturato nel 2002 a Peshawar in Pakistan, mentre tornavo dall’Afghanistan dove combattevo contro l’invasione straniera. Sono stato consegnato agli americani, detenuto qualche mese a Islamabad, consegnato in Libia, e scarcerato nel 2008». Ma un problema c’è perché, fa notare il leader dei ribelli, «se la guerra andrà avanti a lungo è facile che estremisti stranieri entrino dai nostri confini».
Il detenuto libico di Guantanamo cui faceva riferimento il rais invece si chiama Sufiyan al-Koumi, accusato di essere stato l’autista di Bin Laden, e liberato nel settembre del 2010 dal figlio di Gheddafi, Saif al-Islam. «