La siringa possiede una sorta di valvola per impedire, almeno teoricamente, che il flusso di greggio finisca in mare: se il sistema funzionerà davvero lo si capirà nelle prossime ore, o al massimo durante il fine settimana. Secondo il numero uno della Guardia Costiera, Thad Allen, parte del petrolio viene pompato attualmente attraverso la mini cupola che i robot della Bp stanno tentando di posizionare sul fondo del mare, a circa 1.500 metri di profondità, per ‘incapucciare’ il pozzo.
Per fermare la chiazza di petrolio ci sono anche delle barriere italiane. A produrle l’azienda Resinex di Brescia, che ha già spedito il primo carico di circa 1,2 chilometri ed ora lavora a pieno regime per riuscire ad inviarne il più possibile in Louisiana.
«Stiamo cercando di arrivare ad una produzione di 2 chilometri alla settimana – afferma Maurizio Prestini, amministratore delegato dell’azienda -, dagli Usa ce ne hanno chieste ‘il più possibile’, perchè ormai hanno finito le scorte».
Le barriere inviate dall’Italia sono sia del tipo da utilizzare in mare aperto che quelle per proteggere le coste: «Le barriere sono sempre utili – spiega l’esperto – ma sono solo uno dei componenti delle operazioni di disinquinamento. Una volta confinato il petrolio, bisogna intervenire con altri mezzi per estrarlo dall’acqua. Quando c’è stato il naufragio della Haven, le barriere sono state criticate all’inizio, ma poi si sono rivelate decisive per evitare un disastro ecologico sulle coste».