Barack Obama sapeva dei rischi legati alle attività delle piattaforme petrolifere in mare aperto. A pochi mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente ricevette diversi avvisi. In particolare, una corte di appello federale di Washington DC sottolineò in un parere vincolante che le regole vigenti in materia di trivellazioni erano talmente ”irrazionali” da rendere il governo impreparato ad affrontare un eventuale incidente, e per questo congelo’ quel tipo di trivellazioni. Ma l’amministrazione democratica decise di fare ricorso, sottolineando che un eventuale stop dei pozzi avrebbe avuto ”conseguenze finanziarie significative sul governo federale”. Poi la Corte accolse quel ricorso.
Questo il retroscena che prospetta il Wall Street Journal e a un anno di distanza da quell’avviso, la Casa Bianca si trovi oggi ad affrontare una crisi che avrebbe potuto essere evitata intervenendo con tempestivita’ sulla politica energetica promessa in campagna elettorale ma mai attuata.
Secondo il quotidiano l’amministrazione Obama prese atto delle segnalazioni ricevute, ma nello stesso tempo ricevette pressioni di segno opposto dalle compagnie petrolifere, che chiedevano di continuare comunque con le trivellazioni sulla base delle regole vigenti. Alla fine però l’amministrazione optò per un temporaneo ‘status quo’, e invitò la Corte a rivedere la sua decisione sulla base di questo argomento: la semplice revisione delle regole per quanto riguarda le attività di trivellazione in acque profonde avrebbe potuto comportare una perdita in termini di royalties stimata in 10 miliardi, ”una perdita che puo’ avere significative conseguenze finanziarie sul governo federale” scrissero i legali dell’amministrazione nel loro ricorso.
