British Petroleum blocca l’uso dei solventi negli abissi, l’eco-disastro nel Golfo del Messico potrebbe raggiungere dimensioni peggiori. Fino a quando non sarà accertata la pericolosità dei prodotti usati finora dal colosso petrolifero l’azienda ha annunciato che rispetterà lo stop.
Bp ha spruzzato migliaia di litri di solventi, la cui composizione è protetta da segreto industriale, non solo in superficie, ma anche alla base del pozzo da cui sgorga il geyser letale. In pratica la marea nera ha dato la possibilità di testare nuovi prodotti per separare l’acqua dal petrolio.
“Si stanno facendo analisi ma al momento non c’é consenso”, ha detto Charlie Henry, coordinatore scientifico della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa). In sostanza sono questi i poli del dilemma: le sostanze chimiche impediscono al petrolio di raggiungere l’ecosistema delle paludi e della costa ma espongono altre forme di vita marina alla loro tossicità.
Per scienziati ed ecologi l’uso di sostanze chimiche che uccidono il petrolio ha provocato crisi di coscienza. “Di per sé sono tossici, ma forse è il minore dei due mali”, ha detto al New York Times Jacqueline Savitz, ricercatrice di Oceana, un gruppo ambientalista indipendente.
Tra le prime vittime ci sono il plancton, i piccoli organismi immobili alla base della catena alimentare, che possono essere uccisi dal petrolio disperso chimicamente. Uno degli agenti usati si chiama Corexit 9500: è autorizzato dall’Epa per combattere macchie di petrolio ma può provocare danni “moderatì alla salute dell’uomo e irritazioni agli occhi, alla pelle e ai polmoni in vaso di prolungata esposizione. Secondo la società che lo produce è biodegradabile e non è cancerogeno. “In pratica è un gigantesco esperimento: e non dico che non dobbiamo farlo. Non abbiamo sceltà”, si è rassegnato Richard Charter di Defenders of Wildlife.