Morire di parto: succede ancora, nel ventunesimo secolo, in tutto il mondo. Ma ovviamente, soprattutto in Asia e Africa. Sono trecentocinquantamila ogni anno le madri che muoiono dando alla luce i loro figli. E dei piccoli neonati, quattro milioni muoiono nei primi 28 giorni.
Un’ecatombe silenziosa, raccontata dall’Unicef e da Amnesty International. La geografia della strage traccia i confini delle morti per parto in Africa e Asia per il 95 per cento dei casi.
In una ricerca delle Università di Washington e Brisbane, pubblicata sulla rivista Lancet, che prende in esame il periodo dal 1980 al 2008, si registra un calo numerico dei casi di mortalità delle donne legate al parto: da 526mila a 342mila. Ma in molti Paesi africani la situazione è invece peggiorata.
Ma anche gli Stati Uniti, nonostante sostengano una spesa sanitaria tra le più alte del mondo hanno morti tra le loro puerpere. “Negli Usa le principali vittime – denuncia Amnesty International al Corriere della Sera – sono madri che appartengono a minoranze etniche, a comunità native, o ragazze povere arrivate da altri paesi. Nei casi di gravidanze a rischio, le probabilità di morire per le donne afroamericane sono 5,5% più alte rispetto a quelle appartenenti al gruppo etnico maggioritario”.
Eppure per evitare, o almeno limitare, questa tragedia, basterebbe seguire le più elementari regole di igiene e la possibilità di accedere a cure prenatali e ad un assistenza durante il parto.
“Tutte le ricerche – commenta Ann Veneman – mostrano come l’80% delle morti materne potrebbe essere evitato se le donne avessero accesso alle cure sanitarie di base”.