Fondere insieme due eserciti nemici. Questo l’inedito compito che attende il Nepal. Dal successo dell’operazione dipendono le sorti della transizione democratica. Il paese è uscito nel 2006 da una guerra civile particolarmente cruenta mentre solo due anni fa un referendum storico ha decretato la fine della monarchia e il passaggio ad una repubblica costituzionale.
Oggi, il principale risultato di un decennio di guerra è la militarizzazione del territorio. L’esercito nepalese ha 96.000 soldati ed è due volte più grande di quando la guerra è cominciata. Gli efficienti della polizia e della polizia paramilitare sono cresciuti fino alle 80.000 unità. D’altra parte, l’esercito maoista non si è mai sciolto e conta ancora oggi 19.602 soldati.
Conformemente agli accordi di pace, gli ex ribelli sono confinati in campi istituiti allo scopo dalle Nazioni Unite. Nonostante la pace, qui i maoisti si addestrano quotidianamente. La mattina, esercizi fisici e militari. Il pomeriggio, educazione politica: l’agenda maoista per la riforma del paese.
In realtà, alla fine del conflitto i dirigenti del partito avevano sottoscritto un accordo che prevedeva che gli insorti consegnassero le armi. Nei giorni che seguirono il trattato camion della Nazioni Uniti furono riempiti con gli armamenti che avevano fino a quel giorno insanguinato il paese. Eppure, un certo numero di pistole e fucili fu custodito; un numero sufficiente per permettere ancora oggi l’addestramento dell’esercito.
La cerimonia svoltasi pochi giorni fa nel campo delle Nazioni Unite che ospita la Quarta Divisione Maoista racconta la fase che sta attraversando il paese. 361 uomini e donne soldato sono stati congedati e rispediti alla vita civile. L’Onu li ha considerati non idonei ad integrare il nuovo esercito nepalese. Molti di loro dovranno abbandonare la divisa perché erano ancora minorenni nel 2006, una violazione della legge internazionale sulla protezione dell’infanzia su cui le Nazioni Unite non sono disposte a chiudere un occhio.
Questi congedati hanno vissuto l’adolescenza con un fucile impugnato ed una tuta mimetica. Oggi, senza un’educazione, senza un mestiere, hanno il difficile compito di avviarsi a quella vita normale che non hanno mai conosciuto. La maggior parte di loro, a differenza di quanto succede in Africa, dove i bambini sono rapiti o costretti a combattere, hanno raggiunto i ribelli di loro spontanea volontà.
La capacità del futuro Nepal di integrare questi individui nella società è una delle grandi poste in gioco del futuro. Intanto la scadenza del 28 maggio mostrerà se la prima fase della transizione potrà dirsi conclusa con successo. Entro quella data la nuova costituzione dovrà essere approvata dal governo. In questa congiuntura, il nodo irrisolto rappresentato dalla la presenza di due eserciti su un medesimo suolo nazionale pone un gravissimo problema per il processo di pace e la ricostruzione politica.
Le due parti hanno fino ad oggi mostrato la loro incapacità ad abbandonare gli antagonismi. I dirigenti dell’esercito regolare hanno cercato, inutilmente, di dettare le condizioni per l’integrazione dei maoisti. D’altro canto, l’ostinazione dei maoisti nel mantenere un apparato militare non può non far pensare ad un tentativo di influenzare gli avvenimenti politici.
Quando i 361 uomini e donne della Quarta Divisione sono pronti ad andarsene, il comandante Pratik ha concluso il suo discorso così «Siamo legati nei nostri cuori. Spero che continuerete ad aiutare la rivoluzione dell’esterno». La guerra è finita, ma la pace è ancora lontana.