NEW YORK – L’Arabia Saudita ha annunciato una coalizione contro il terrorismo composta da 34 Paesi islamici. Lo riferisce l’agenzia saudita SPA. L’alleanza avrà un centro di coordinamento operativo a Riad. Tra i 34 Paesi ci sono Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Malaysia, Pakistan, Paesi del Golfo e africani. L’Iran non è nella lista fornita dai sauditi.
Intanto Barack Obama rilancia la lotta all’Isis: “Mai li abbiamo colpiti così duramente – spiega – anche se i progressi dovranno essere più rapidi”. E al termine del vertice tenuto al Pentagono con i massimi responsabili della sicurezza nazionale invia un duplice messaggio. Il primo ai leader dello stato islamico: “Non potrete nascondervi. Sarete i prossimi ad essere colpiti!”, così come nelle ultime settimane – ricorda – sono stati eliminati molti pezzi grossi dell’organizzazione jihadista, dall’inviato del califfo di al Baghdadi in Libia al suo ministro delle finanze.
Poi un monito rivolto ai Paesi arabi, ai quali il presidente americano chiede un maggiore impegno a fianco della coalizione internazionale: “Gli Stati Uniti stanno facendo di più in questa lotta così come lo stanno facendo i nostri alleati, la Francia, la Germania, il Regno Unito, l’Australia e l’Italia. E così come devono fare tutti gli altri”.
Un riconoscimento, dunque, al maggior sostegno garantito da Parigi, Londra e Berlino sul piano militare, ma anche da Roma sul fronte diplomatico, soprattutto per il ruolo guida che il nostro Paese sta svolgendo per risolvere l’intricata e preoccupante situazione in Libia. Questi per Obama devono essere gli esempi da seguire. E con questo messaggio da parte della Casa Bianca il segretario alla difesa, Ash Carter, è partito alla volta della regione mediorientale, col compito di strappare agli alleati arabi un maggior coinvolgimento nei combattimenti in Siria e Iraq.
Ma anche un contributo più deciso per impedire un ulteriore rafforzamento dell’Isis proprio in Libia, il Paese che in questo momento rappresenta la minaccia più grande. Allo stesso tempo il segretario di stato americano, John Kerry, e’ volato a Mosca per proseguire quel confronto con Vladimir Putin che dovrebbe portare al più presto all’attuazione degli accordi di Vienna, quelli per porre fine alla guerra civile in Siria e per avviare la fase di transizione politica auspicata da tutti. Col nodo Assad ancora lì sul tavolo a intralciare il dialogo. Per il resto Obama, parlando in diretta tv dopo la riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale, ha cercato ancora una volta di rassicurare gli americani sui risultati della guerra all’Isis e sulla minaccia di possibili attentati terroristici sul suolo statunitense in vista delle festività di fine anno.
“L’Isis ha perso il 40% delle zone che una volta controllava in Iraq”, ha detto, respingendo ancora una volta le critiche di chi parla di fase di stallo: “Li abbiamo colpiti al cuore e renderemo loro sempre più difficile avvelenare il mondo”, ha proseguito, ammettendo pero’ come si tratti di una guerra “difficile”. “I militanti dello stato islamico – ha spiegato – si nascondono dietro alla popolazione civile, e dobbiamo colpirli con estrema precisione, con precisione chirurgica”. Il suo volto è serio e anche quello di Carter, al suo fianco, è teso. Non è una novità che una parte delle gerarchie militari statunitensi vorrebbe fare di più. Ma la Casa Bianca resiste, e anche dopo il vertice al Pentagono la strategia di Obama non cambia. Forse a costo di qualche attrito coi generali.